Nel tradizionale Festival di metà marzo dell’Opera di Lione quest’anno il direttore musicale Daniele Rustioni, che nel 2018 diresse tre opere di Verdi, si cimenta con un’opera rara di Čajkovskij, così poco eseguita che resta dubbia anche la versione italiana del titolo: "L’incantatrice", oppure "La maliarda". È un’opera del 1887, mai eseguita in Francia prima del 15 marzo di quest’anno, quando ha fatto il suo debutto in un allestimento firmato dal regista ucraino Andriy Zholdak.
Lo spettacolo è stato un grande successo per quanto riguarda la parte musicale, contestazioni invece per la regia. Forse afflitto da horror vacui, Zholdak ha voluto rappresentare sul palcoscenico quattro distinti spazi: una chiesa, una locanda, una sala elegante e un altro spazio di raccordo. Troppa roba, con troppe situazioni simultanee, a volte poco comprensibili e difficili da seguire. Meglio concentrarsi sulla musica, molto bella e sulla parte vocale. “In quest’opera”, spiega Rustioni, “l’orchestra macina un sacco di note e ci vuole un grande virtuosismo da parte di tutte le parti, soprattutto il clarinetto. Non mancano i richiami alla 4a e alla 5a sinfonia e noi l’abbiamo eseguita in una versione fedele e completa, con un grande impegno da parte dei solisti, del coro e di tutti i musicisti dell’orchestra. Senza contare l’impegno delle maestranze del teatro per gestire le scene molto complesse e gli spostamenti delle pedane mobili”.
Protagonista dell’opera è Kouma (la bravissima e molto bella Elena Guseva), una affascinante locandiera capace di sedurre al tempo stesso un principe e il figlio dello stesso principe. “Il carattere di questa donna”,spiega Rustioni, “è libero e un po’ selvaggio, tipo Carmen”. Altro personaggio femminile molto forte dell’opera è la Principessa, custode dell’onore della famiglia, interpretata alla perfezione da Ksenia Vyaznikova. Il regista Zholdak trasforma il funzionario statale Mamyrov in un prete diabolico e intrigante, che di fatto, diventa manipolatore delle persone e dei sentimenti, osservati a volte con degli occhiali in 3d, come se volesse godersi meglio lo spettacolo creato dalle sue manipolazioni.
L’opera è impegnativa per tutti gli interpreti, con lunghi ariosi e molte scene di insieme. “Anche il coro è molto sollecitato”, spiega Rustioni, “come è nella tradizione di molte opere russe. Le voci del coro maschile finale, a cappella, dopo gli eventi luttuosi della storia, hanno un colore lamentoso molto russo. È un suono cupo, dominato dai bassi, dove nelle voci devi sentire le lacrime”.
La direzione dell’opera di Čajkovskij è l’unico impegno richiesto quest’anno a Rustioni da un Festival che presenta anche una versione di “Dido and Aeneas” di Purcell reinterpretata in modo non sempre convincente, a volte anche irritante, dal regista David Marton e dal compositore e chitarrista finlandese Kalle Kalima. Altro titolo del Festival è “Il ritorno di Ulisse in patria” di Claudio Monteverdi, presentato in una versione per marionette della Handspring Puppet Company e dell’artista sudafricano William Kentridge.
Rustioni, marito della violinista Francesca Dego, tornerà in buca all’Opera di Lione a ottobre, per l’apertura della stagione, presentata il 16 marzo dal direttore generale Serge Dorny. Il titolo è di lusso: il Guillaume Tell di Rossini, nella versione francese, in una nuova produzione firmata da Tobias Kratzer, in coproduzione con l’Opera di Karlsuhe. Il 6 novembre Rustioni dirigerà anche “Ernani” di Verdi, in forma di concerto, con la presenza nel cast di Francesco Meli. Nel gennaio del 2020 Rustioni dirigerà anche nove repliche di “Tosca”, in una nuova produzione con la regia firmata dal sempre interessante Christophe Honoré. Il Festival di marzo 2020 sarà inaugurato da “Rigoletto”.Protagonista sarà Roberto Frontali (già ammirato il dicembre scorso all’Opera di Roma), mentre sul podio ci sarà Michele Spotti, 25, di Cesano Maderno, uno dei giovani direttori d’orchestra più promettenti. Davvero lodevole, la scelta di Dorny, di puntare sempre sui giovani e su titoli non scontati.