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mercoledì 19 marzo 2025
 
CHIESA
 

Incontrarsi, accogliere, camminare insieme: Napoli s'apre al futuro

29/04/2022  Circa mille fedeli hanno partecipato all'apertura del Sinodo diocesano in piazza Garibaldi. Tetimonianze, idee, propositi, appuntamenti. Già arrivati 28 mila contributi circa.

Incontrarsi, accogliere e andare avanti, tutti insieme «perché ora a Napoli serve una Chiesa dalle porte aperte, dove è possibile celebrare la vita reale delle persone». Il senso del XXXI Sinodo diocesano voluto da monsignor Domenico Battaglia per la diocesi di Napoli, si raccoglie nelle sofferenze, nel cambiamento dei simboli, nelle esperienze quotidiane, nelle case di chi ha perso il lavoro e agli angoli delle strade. Dalle periferie, fino a raggiungere i quartieri borghesi. Per «una Chiesa realmente prossima e aperta ai poveri e a chi soffre», una Chiesa che si raggiunge compiendo il cammino solidale che «chiameremo "via Santa, Avventura di Vangelo”». Un sentire diffuso come testimoniano i circa 28 mila contributi finora raccolti, come conferma il segretario generale del Sinodo e provicario generale, don Gennaro Matino.

Così dopo aver affidato il cammino sinodale alla Madonna bruna, Vergine del Carmelo, il luogo dove Napoli diventa ‘Mille culure’ non può che essere piazza Garibaldi, la porta d’ingresso della città che ogni giorno permette a lavoratori, forestieri, immigrati e turisti di essere accolti dalla città e ogni notte permette agli ultimi di  dormire e improvvisando ricoveri di fortuna. È nella piazza ritrovata che l’arcivescovo di Napoli ha voluto celebrare l’apertura del Sinodo napoletano. Il primo appuntamento a cui hanno partecipato circa mille fedeli è stato ospitato nell’anfiteatro della piazza confinante con la stazione ferroviaria, una struttura che con una sua circolarità richiama al legame nei confronti del prossimo. Quel prossimo che attende al di là della strada, quando calato il caldo sole pomeridiano, per sopravvivere alle temperature notturne, deve avvolgersi in un piumone arancione. Nel buio quel volto non si distingue. Si capisce solo che quel fratello fa parte della schiera degli ultimi.

Come donna Concetta, 75 anni, un po’ sdentata mangia dove può e trascinandosi continuamente in giro per la città la sua busta di plastica del supermercato, ha deciso di fermarsi ad ascoltare il suo Vescovo in quella piazza dove ha trovato persone come lei. Qui ci sono sofferenze vere ma Dio non ti lascia da solo”. A raccontarle, quelle sofferenze, ci sono i protagonisti stessi che m onsignor Battaglia ha voluto al suo fianco. C’è Francesco Guida ex operaio Whirlpool che implora l’arcivescovo di poter attraversare insieme la strada tortuosa e di essere una guida per non perdere la speranza. C’è Cristiana che ad appena 19 anni, emozionata racconta l’esperienza del Lunedì in Albis trascorso in Vaticano all’appuntamento voluto da papa Francesco, dove insieme ai suoi compagni ha compreso che la sofferenza di un bambino di appena 6 anni che ha deciso di prendersi cura di suo padre malato, può trasformarsi in coraggio da cui prendere esempio.

A gridare invece la sofferenza degli esclusi è Fatou Diako nata in Costa d’Avorio e da 20 anni residente a piazza Garibaldi. È lei che con forza fa capire che tutti sono uguali, che la presenza dei residenti della piazza, così come degli altri quartieri di Napoli è un fattore importante per contribuire a  progettare il cambiamento. E poi ci sono le famiglie. Quelle sostenute dall’amore anche se nate sulle macerie. Come quella di Silvio e Antonella, una coppia di nuova unione familiare costruita dopo divorzi (per entrambi) voluti e dolorosi. Dopo 20 anni insieme il loro progetto di vita desiderato e alimentato da amore e fede cristiana è testimonianza di un dolore, di quell’emarginazione che hanno ‘scontato’ per aver messo insieme la loro famiglia e che è riuscito a trovare una scappatoia nel volontariato, mettendosi a disposizione delle altre nuove famiglie per fare crescere le comunità rendendole pronte alla vera accoglienza. Come ha fatto nei secoli piazza Garibaldi dove quell’odore invadente di cibo etnico è pian piano diventato ‘normale’ come il profumo delle sfogliatelle appena sfornate dagli antichi laboratori di pasticceria proprio dietro la piazza. Capovolgere, dunque e imparare a progettare le nuove azioni mirate alla creazione della comunità.

«C’è nella Chiesa un immaginare se stessa per conservazione e riproducibilità di ruoli e azioni - dice Battaglia - La certezza dell’esistente diventa a volte l’unica e la sola condizione per autodeterminarsi. Ma occorre il coraggio di fare vuoto di potere per generare il servizio. Cambiare i simboli. Oltre la mitria, il pastorale, l’anello, anche il catino, la brocca e l’asciugatoio che nella Chiesa sono simboli antichi, precedenti agli altri simboli». Elementi che rimandano ad una Chiesa in uscita che vuol prendersi cura di chi è ferito e dove i poveri non possono rimanere sull’uscio.

 

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