La testimonianza di Eduard, con le difficoltà dei giovani a vivere la fede in un mondo che dice in tutti i modi che la fede non serve. Quella della famiglia di Elisabetta e Ioan, con i loro 11 figli, di cui 7 sposati, 2 sacerdoti e due suore. Nel piazzale del Palazzo della Cultura a Iaşi, papa francesco incontra i giovani e le famiglie. Un incontro mariano, all’ombra dell’icona della Vergine di Cacica, che Bergoglio omaggia subito con dei fiori. Dopo le testimonianze e le letture bibliche, e prima dell’atto finale di affidamento dei giovani e delle famiglie alla Vergine Maria, Bergoglio parla alla folla.
Dopo aver salutato in romeno «bună seara!», papa Francesco riprende le parole di Eduard «quando ci dicevi che questo incontro non vuole essere solo di giovani, né di adulti, né di altri, ma avete voluto “che stasera ci fossero insieme a noi i nostri genitori e i nostri nonni”» e ricorda il forte legame che deve esserci tra le generazioni. Proprio in questo giorno in cui, in Romania, si celebra la festa del bambino, Francesco chiede un applauso e una preghiera per i piccoli: «Li salutiamo con un forte applauso! Vorrei che la prima cosa che facciamo sia pregare per loro: chiediamo alla Vergine che li protegga con il suo manto. Gesù li ha posti in mezzo ai suoi apostoli; anche noi vogliamo metterli in mezzo e riaffermare il nostro impegno di volerli amare con lo stesso amore con cui il Signore li ama, impegnandoci a donare loro il diritto al futuro. È una bella eredità questa: dare ai bambini il diritto al futuro».
E poi riprende l’esperienza di Elisabetta e Ioav e dei suoi figli che oggi si sono ritrovati insieme «così come qualche tempo fa ogni domenica mattina prendevano tutti insieme la strada verso la chiesa». Il Papa parla della «felicità dei genitori di vedere i figli riuniti» e sottolinea la difficoltà del camminare insieme. «È un dono che dobbiamo chiedere, un’opera artigianale che siamo chiamati a costruire e un bel dono da trasmettere». Un dono che ha bisogno delle radici, perché ovunque si vada non si dimentichi «quanto di più bello e prezioso hai imparato in famiglia. È la sapienza che si riceve con gli anni: quando cresci, non ti dimenticare di tua madre e di tua nonna e di quella fede semplice ma robusta che le caratterizzava e che dava loro forza e costanza per andare avanti e non farsi cadere le braccia. È un invito a ringraziare e riabilitare la generosità, il coraggio, il disinteresse di una fede “fatta in casa”, che passa inosservata ma che costruisce a poco a poco il Regno di Dio».
La fede, dice ancora Bergoglio, «non è quotata in borsa, non si vende e, come ci ricordava Eduard, può sembrare che “non serva a niente”. Ma la fede è un dono che mantiene viva una certezza profonda e bella: la nostra appartenenza di figli, e figli amati da Dio». La fede è una rete che ci connette attraverso le radici. Francesco ricorda il poeta nazionale Eminescu che augura alla sua terra di crescere sentendosi fratelli come le stelle del cielo. «Eminescu era un grande», dice il Papa, «era cresciuto, si sentiva maturo, si sentiva fraterno e per questo voleva che in Romania tutti si sentissero fratelli come le stelle della notte. Noi apparteniamo gli uni agli altri e la felicità personale passa dal rendere felici gli altri. Tutto il resto sono favole».
E cita ancora «la profezia di un santo eremita di queste terre. Un giorno il monaco Galaction Ilie del Monastero Sihăstria, camminando con le pecore sulla montagna, incontrò un’eremita santo che conosceva e chiese: “Dimmi, padre, quando sarà la fine del mondo?”. E il venerabile eremita, sospirando dal suo cuore, disse: “Padre Galaction, sai quando sarà la fine del mondo? Quando non ci saranno sentieri dal vicino al vicino! Applauso Cioè, quando non ci sarà più amore cristiano e comprensione tra fratelli, parenti, cristiani e popoli! Quando le persone non ameranno più, sarà davvero la fine del mondo. Perché senza amore e senza Dio nessun uomo può vivere sulla terra!”. La vita inizia a spegnersi e a marcire, il nostro cuore smette di battere e inaridisce, gli anziani non sogneranno e i giovani non profetizzeranno quando non ci saranno sentieri dal vicino al vicino… Perché senza amore e senza Dio nessun uomo può vivere sulla terra».
Per questo non dobbiamo scoraggiarci «in mezzo a numerose provocazioni. Sono davvero tante le provocazioni che ci possono scoraggiare e farci chiudere in noi stessi. Non possiamo negarlo, non possiamo fare come se niente fosse. Le difficoltà esistono e sono evidenti. Ma questo non può farci perdere di vista che la fede ci dona la più grande delle provocazioni: quella che, lungi dal rinchiuderti o dall’isolarti, fa germogliare il meglio di ciascuno. Il Signore è il primo a provocarci e a dirci che il peggio viene quando “non ci saranno sentieri dal vicino al vicino”, quando vediamo più trincee che strade. Il Signore è Colui che ci dona un canto più forte di tutte le sirene che vogliono paralizzare il nostro cammino. E lo fa nello stesso modo: intonando un canto più bello e attraente».
Il Signore, però, ci provoca «per farci scoprire i talenti e le capacità che possediamo e perché le mettiamo al servizio degli altri. Ci chiede di usare la nostra libertà come libertà di scelta, di dire “sì” a un progetto d’amore, a un volto, a uno sguardo. Questa è una libertà molto più grande che poter consumare e comprare cose. Una vocazione che ci mette in movimento, ci fa abbattere trincee e aprire strade che ci ricordino quell’appartenenza di figli e fratelli».
Francesco sottolinea che proprio da questa capitale «storica e culturale del Paese si partiva insieme – nel Medioevo – come pellegrini per la Via Transilvana, verso Santiago di Compostela. Oggi qui vivono tanti studenti da varie parti del mondo», ricorda che in questo anno è la capitale nazionale dei giovani e li sprona ad «aprire strade per camminare insieme e portare avanti quel sogno dei nonni che è profezia: senza amore e senza Dio nessun uomo può vivere sulla terra».