In principio è la Spagna. E' il 15 maggio 2011: ritrovo a Puerta del Sol, il cuore di Madrid. Studenti, pensionati, impiegati, professori, disoccupati, giovani e anziani. Una marea umana trasversale, senza colori politici, arrabbiata con tutto il mondo politico di destra e di sinistra. Scendono in piazza e si accampano nel cuore della capitale per gridare contro il Governo e contro il sistema della banche, contro la finanza internazionale e le politiche di austerità. Con il Movimento 15-M (15 maggio), nascono gli Indignados, gli indignati: i figli della recessione che ha inghiottito negli ultimi anni la Spagna, uno dei Paesi europei più pesantemente colpiti dalla crisi economica, con quasi 5 milioni di persone senza lavoro, un tasso di disoccupazione giovanile che è arrivato al 26% e migliaia di persone che hanno perso la loro casa perché non riuscivano più a pagare i mutui.
Indignati: un termine ispirato al celebre pamphlet dello scrittore e politico naturalizzato francese Stéphane Hessel (morto lo scorso febbraio) Indignez-vous (Indignatevi!), pubblicato nel 2010 e diventato in poco tempo un caso editoriale. Nel giro di pochi mesi la protesta degli Indignados spagnoli si propaga come un'onda in Europa e nel resto del mondo, dalle capitali europee fino a Tokyo.
Si indigna la Grecia, esasperata dal disastro economico. Sulla scia della Spagna, i greci si autoconvocano attraverso il passaparola e le reti sociali, si mobilitano partendo da Atene. A settembre del 2011 la protesta divampa a New York: il movimento Occupy Wall Street dà vita a contestazioni pacifiche a Zuccotti Park per denunciare i meccanismi distorti e iniqui della finanza mondiale (rappresentata simbolicamente dalla Borsa di New York), le ingiustizie economiche e sociali. Dalla Grande Mela le manifestazioni contagiano altri Paesi, il vicino Canada, la Gran Bretagna, l'Australia, anche l'Italia.
A giugno del 2013 è la volta degli indignati turchi: la protesta contro il progetto urbanistico che cancellerebbe Gezi Park, a Istanbul, si allarga e si trasforma in una più vasta denuncia contro il premier Erdogan, accusato di voler dare una svolta autoritaria e reazionaria al suo Governo, di voler riportare indietro il Paese dal punto di vista sociale. I giovani turchi scendono per le strade e nelle piazze, a Istanbul, Ankara, Smirne e in altre città. E' una protesta essenzialmente urbana, figlia non della povertà e dell'emarginazione ma delle nuove generazioni del ceto-medio.
Così come è una protesta cittadina quella che infiamma e scuote, ora, tutto il Brasile. A San Paolo, Rio, Brasilia, Salvador de Bahia giovani, studenti, lavoratori manifestano contro il rincaro dei trasporti pubblici a fronte di servizi scadenti, contro i deficit della sanità, delle scuole, contro la corruzione della politica, contro uno sviluppo economio che non ha sanato le disuguaglianze sociali.
A due anni dalla nascita del Movimento 15-M, gli Indignados spagnoli sono tornati in piazza: contro le politiche di austerità del Governo Rajoy accusate di alimentare la disoccupazione e la povertà. In questi due anni, il Movimento degli Indignados si è trasformato, è diventato meno mediatico e più radicato sul territorio a livello locale. Ma non ha cessato di mantenere desta l'attenzione sui problemi dei cittadini.
Ora, è la volta della Bulgaria: i bulgari scendono per le strade di Sofia per manifestare contro il nuovo Governo accusato di essere corrotto e di voler trasformare un Paese democratico in una oligarchia. Scende in piazza anche la Bosnia: a Sarajevo i cittadini protestano perché venga subito varata la legge sul codice di identità senza la quale i nuovi nati non possono essere iscritti all'anagrafe, quindi avere la tessera sanitaria e il passaporto. A causa della mancanza di un accordo tra serbi, croati e musulmani su questa riforma, da alcuni mesi i bambini nati non possono avere un documento di identità. La mobilitazione parte da Sarajevo e si diffonde in altre città.
Una mobilitazione interetnica, che oltrepassa le divisioni tra le etnie, i nazionalismi che hanno lacerato il Paese. La protesta diventa espressione del malcontento della gente contro l'economia che va male e contro la disoccupazione (ufficialmente al 27%), mentre i politici perdono tempo a dibattere sulla legge per identificare i neonati. A scendere per le strade di Sarajevo è la nuova generazione dei bosniaci: i giovani che chiedono il cambiamento lasciandosi alle spalle gli odi etnici che hanno portato morte, distruzione e sofferenze immani.
Intorno a noi, tutto il mondo si indigna. E in Italia cosa succede? Da noi ci sono state manifestazioni e contestazioni sulla scia dei vari movimenti di protesta stranieri. Ma poi? Forse, anche gli italiani si indignano, ma a modo loro. Quel che è certo è che anche i giovani del nostro Paese - non meno degli spagnoli o dei brasiliani - hanno validissime ragioni per sentirsi indignati. E per far sentire la loro voce.