Arrivano da California, Australia e Cina i virus influenzali che, secondo le previsioni, metteranno a letto molte più persone rispetto a quelle dello scorso anno. Se nell’ultimo inverno si erano ammalati 82 individui su mille, questa volta l’incidenza potrebbe essere meno clemente a causa delle nuove varianti virali, che facilitano una maggiore circolazione della malattia.
A differenza di altre patologie infettive, che una volta contratte garantiscono l’immunità nei confronti di un nuovo contagio, l’influenza è causata da microrganismi con la forte tendenza a mutare: in sostanza, la principale molecola del virus “cambia aspetto” in superficie e sfugge anche al sistema immunitario di chi si è già ammalato l’inverno precedente.
Ancora una volta, le principali avvisaglie saranno febbre superiore ai 38 gradi, manifestazioni respiratorie (come tosse, mal di gola, raffreddore), malessere generale (cefalea, stanchezza, mancanza di appetito, dolori muscolari o articolari) e talvolta disturbi gastrointestinali (nausea, vomito, diarrea).
«Si tratta di sintomi comuni ad altre patologie invernali di natura batterica o virale, favorite dalle condizioni di clima rigido, ma solitamente nell’influenza sono più intensi, fastidiosi e si presentano assieme», spiega il professor Giorgio Palù, ordinario di microbiologia e virologia all’Università di Padova e presidente della Società europea di virologia. «Deve essere il medico curante a distinguere fra i possibili malanni, in modo da prescrivere l’antibiotico solamente in caso di effettiva necessità: questi farmaci infatti sono appropriati nelle infezioni batteriche, ma assolutamente inutili contro quelle virali. Usarli quando non serve, come nel caso dell’influenza, può favorire nel tempo l’origine di superbatteri che potranno esporre noi e i nostri figli a patologie non più curabili con i medicinali attualmente a disposizione, perché resistenti alle terapie».
RIPOSO INNANZITUTTO
La trasmissione dell’influenza avviene mediante goccioline di muco, saliva e in genere per via aerea, con un periodo di incubazione che varia fra le 18 e le 72 ore, durante le quali è già possibile contagiare altre persone, semplicemente parlando o sostando accanto a loro. Una volta contratta, la patologia va trattata esclusivamente con farmaci sintomatici, ovvero capaci di diminuire l’intensità dei sintomi e prevenire le complicanze, come antinfiammatori e antipiretici (utili per diminuire i dolori muscolari e la febbre) oppure decongestionanti nasali e sciroppi per la tosse.
«In commercio ci sono poi alcuni farmaci con specifica attività antivirale, utili per accelerare la guarigione: si tratta di inibitori della neuraminidasi, proteina utilizzata dal virus nelle fasi tardive del ciclo replicativo per fuoriuscire dalle cellule dell’organismo ospite e infettarne di nuove», illustra il professor Palù. «Vanno assunti sotto controllo medico e sono efficaci solo nella fase di esordio della malattia, entro le prime 48 ore». Si tratta comunque di medicinali raccomandati in casi particolari, per esempio quando si tratti di persone a elevato rischio di complicanze.
In generale, comunque, nei soggetti con sistema immunitario normale e non affetti da altre patologie l’influenza prevede la guarigione spontanea, per cui nella maggioranza dei casi i disturbi si risolvono da soli entro 3-5 giorni, senza lasciare strascichi. «Per recuperare le energie e velocizzare la ripresa del benessere psicofisico, è fondamentale riposare a letto evitando di sottoporre l’organismo a ulteriori sforzi, bere molto per mantenere la giusta idratazione e seguire un’alimentazione leggera ma nutriente, preferendo le carni bianche e il pesce come fonte di proteine e la pasta sotto forma di minestrina, facilmente digeribile».
PREVENIRE È MEGLIO
Al contrario, sforzarsi di sbrigare tutti gli impegni familiari, lavorativi e sociali nonostante le condizioni precarie rischia di trasformare manifestazioni tutto sommato banali in qualcosa di più serio: pur trattandosi di una malattia benigna, infatti, l’influenza può scatenare complicanze anche gravi (come polmoniti, pleuriti, miocarditi, meningiti) soprattutto nei soggetti a rischio, perché già compromessi (malati cronici) oppure in fasi della vita particolarmente delicate, come l’età avanzata, la gravidanza e la primissima infanzia. Non a caso, questa patologia acuta è responsabile ogni anno di circa 8.000 decessi e oltre 40.000 ospedalizzazioni in Italia, rappresentando dunque un importante problema di sanità pubblica, subito dopo Aids e tubercolosi.
«Anche per questo motivo, prevenire è meglio che curare», esorta Palù. «In questa stagione, le precauzioni generali per evitare il contagio sono queste: lavare frequentemente le mani con acqua e sapone, in particolare dopo aver frequentato luoghi e mezzi di trasporto pubblici; adoperare fazzoletti da naso usa e getta; evitare posti affollati e manifestazioni di massa; aerare regolarmente le stanze in cui si vive durante il giorno; vestirsi a strati per adattarsi progressivamente alle temperature dei diversi ambienti e non sottoporsi a stress e sforzi fisici eccessivi, perché un organismo indebolito è maggiormente esposto agli attacchi dei virus».
SERVE VACCINARSI?
Ovviamente, però, lo strumento primario e più efficace per prevenire l’influenza è il vaccino, somministrato per mezzo di un’iniezione intramuscolare: in quello trivalente che viene offerto da metà ottobre sono presenti antigeni del ceppo A/California/7/2009 (H1N1), già presente lo scorso anno, insieme alle nuove varianti A/Hong Kong/4801/2014 (H3N2) e B/Brisbane/60/2008.
Come è stato formulato? «Ogni anno, a febbraio, l’Organizzazione mondiale della sanità fa una previsione sui virus che circoleranno durante l’inverno in base all’osservazione di che cosa è avvenuto nella stagione precedente, ma anche nell’emisfero australe», chiarisce il professor Roberto Burioni, ordinario di virologia e microbiologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. «Trattandosi di un’ipotesi, esiste un margine di errore, a differenza di altre vaccinazioni, come quelle pediatriche ad esempio, dove il virus da debellare non muta da una stagione all’altra: detto ciò, spesso il “fallimento” della vaccinazione è solo apparente, perché i sintomi possono essere dovuti a virus parainfluenzali, sui quali la profilassi non ha logicamente alcuna efficacia».
In ogni caso, la vaccinazione antinfluenzale induce lo sviluppo di anticorpi che talvolta possono proteggere anche da varianti del virus non troppo lontane da quelle contenute nel vaccino: ciò significa che, qualora ci si ammalasse, la sintomatologia sarebbe comunque più leggera e attenuata.
«Per di più, i vaccini sono prodotti altamente sicuri grazie a rigorosi controlli, che avvengono sia prima sia dopo l’immissione in commercio: non è stato mai dimostrato un rapporto causa-effetto tra questa vaccinazione ed eventi gravi che a essa possono seguire, ad eccezione dell’anafilassi, una violenta reazione allergica, che tuttavia è rarissima», riferisce il professor Burioni. «Per maggiore tranquillità, comunque, si può sostare nello studio medico per circa mezz’ora dopo la somministrazione, visto che gli eventi avversi gravi si manifestano subito e possono essere contrastati con tempestività dal personale sanitario».
In generale, non sono previste controindicazioni, eccetto per rarissimi casi, perché il vaccino non va somministrato ai lattanti al di sotto dei sei mesi (per mancanza di studi clinici controllati che ne dimostrino l’innocuità in queste fasce di età) e ai soggetti che abbiano manifestato reazioni allergiche a un precedente vaccino o verso uno dei suoi componenti.
LE CATEGORIE A RISCHIO
Per ottenere una buona copertura è importante vaccinarsi nei tempi utili, nel periodo che va da metà ottobre a inizio dicembre, prima del picco massimo di diffusione, previsto fra gennaio e marzo. Quali sono le categorie a rischio, a cui è raccomandata la prevenzione? I soggetti di età superiore ai 65 anni, anche se in buona salute; i pazienti obesi (con indice di massa corporea superiore a 30); i familiari, il personale di assistenza o le persone a frequente contatto con malati ad alto rischio; chi soffre di patologie croniche che possono predisporre a complicanze; gli operatori sanitari e gli operatori dei servizi essenziali (Vigili del fuoco, forze di Polizia, Protezione civile).
«Fra le categorie elencate dal ministero della Salute rientrano anche le donne nel secondo e terzo trimestre di gravidanza, che possono sottoporsi alla vaccinazione in tutta tranquillità e completa sicurezza», ricorda il professor Augusto Enrico Semprini, ginecologo e immunologo riproduttivo (www.studiosemprini.com). «Il primo trimestre viene escluso in base al principio di precauzione adottato in molte procedure mediche, seppure non esistano evidenze scientifiche che sconsiglino la somministrazione neppure in quella fase».
A differenza di altri vaccini (contro la rosolia o la febbre gialla, ad esempio) che utilizzano virus vivi attenuati, potenzialmente pericolosi per lo sviluppo dell’embrione, quello antinfluenzale è costituito da microrganismi uccisi (o da loro frammenti) e quindi innocui. «In realtà, neppure i primi sono così pericolosi come si pensa», rassicura Semprini. «Fortunatamente, infatti, i dati non mostrano conseguenze per i bambini nati da donne che inavvertitamente si sono sottoposte a vaccinazioni attenuate nel primo trimestre, a dimostrazione di quanto siano sicuri questi prodotti».
Va detto inoltre che durante la gravidanza il sistema immunitario femminile continua a essere efficiente come negli altri periodi della vita, per cui non soltanto la risposta ai vaccini è valida, ma anche la frequenza degli episodi influenzali non è maggiore rispetto al resto della popolazione. «L’unica differenza sta nelle eventuali polmoniti indotte dal virus H1N1 o da quello della varicella, che durante la gestazione risultano più pericolose, mentre per gli altri virus non vi sono particolari rischi».
La bella notizia è che la vaccinazione delle future mamme è benefica anche per il bambino, che nel terzo trimestre di gravidanza riceve gli anticorpi materni e viene così protetto per diverse settimane dopo la nascita, quando il suo sistema immunitario non è ancora competente. Una scelta di salute, insomma, da valutare con il proprio medico di famiglia in piena serenità.