Secondo una ricerca della Stanford Graduate School of Education, pubblicata il 22 novembre, gli studenti dai 10 ai 22 anni hanno notevoli difficoltà nel valutare correttamente i contenuti che trovano online, non distinguono un articolo giornalistico da un messaggio sponsorizzato. «Di fronte alle informazioni che scorrono sui social network o compaiono in una ricerca su Google – scrivono i ricercatori - gli studenti possono essere facilmente ingannati».
Intanto però le statistiche dicono che sempre più persone usano facebook come strumento di informazione, non solo per scambiare idee e contenuti ma per trovare notizie. Il problema è che facebook non è nato per quello e non è sempre attendibile quello gira sui social, un po’ perché non tutte le cose che si pubblicano in Rete finiscono sulla nostra bacheca, un po’ perché ci possono finire anche contenuti pubblicati dal primo che passa o peggio dal primo buontempone che s'inventa una bufala in cerca di clic. E comunque in Rete c'è tutto di tutto e nel mare magnum è facile perdere la rotta.
Abbiamo chiesto al professor Ruben Razzante, docente di diritto dell’informazione all’Università Cattolica del Sacro cuore di Milano, autore del Manuale di diritto dell’informazione e della comunuicazione Cedam, di aiutarci a capire come comportarci con le notizie che ci arrivano via facebook, senza prendere cantonate.
Facebook, nato con uno scopo diverso funziona bene, come fonte di informazione?
«Fino a poco tempo fa una notizia uscita su un giornale o in Tv era percepita con un massimo grado di attendibilità, oggi delle notizie che passano sui media tradizionali si è pronti a diffidare, per contrasto la gente cerca in Internet e nei social network di essere protagonista, si rende conto che i contenuti possono essere prodotti anche da cittadini che hanno magari un'autonomia di pensiero ma non una professionalità in materia e si è portati a vedere i social come fonti di informazioni e luoghi di riunione per scambiare opinioni, in libertà e per essere protagonisti. Ma in questo modo si rischia di sottovalutare l'importanza dell’attendibilità e della verificabilità delle informazioni».
La libertà però è davvero tale se si è in grado di gestirla, anziché in condizioni di subirla prendendo per buono tutto quello che arriva. Qual è lo svantaggio dell’utente che si informa su facebook?
«L’overdose è uno svantaggio: troppe informazioni possono stordire. Siccome su facebook ci sono 29 milioni di italiani e i giornalisti sono solo 105mila non possiamo aspettarci un’attendibilità giornalistica e deontologica da tutte le informazioni che passano in facebook».
Come orientarsi?
«Bisogna cercare un sano discernimento nei social network: distinguere le fonti giornalistiche, quelle che vengono, per esempio, dall’amico che condivide su facebook l’articolo di un giornale noto e lo commenta: io mi leggo prima l’articolo e poi sono in grado di valutare i commenti. La prima cosa è distinguere la fonte: se è riconducibile a una testata giornalistica si può valutare di grande attendibilità, se il post condivide siti sconosciuti che possono essere fatti da improvvisati e avventurieri, si deve diffidare, cercare conferme in google e sui siti riconducibili a testate realizzate da giornalisti professionisti. Suggerirei di usare i social come fonti di stimoli più che come fonti di informazione, consiglierei di prenderli come spunto per approfondire altrove».
Spesso però si fanno condivisioni estemporanee, spesso si commenta senza leggere. È vero che facebook seleziona le notizie che ci arrivano in base ai nostri gusti?
«Sì, c’è un filtraggio sulla base delle opinioni, c’è una schedatura anonima attraverso l’algoritmo che seleziona gli utenti, in modo che a te arrivino dei commenti che molto spesso riflettono già il tuo punto di vista».
Quanto è alto il rischio in questo modo di vivere dentro una bolla monocolore?
« Dipende. Se uno fa come me che ho un profilo ma evito di esprimervi opinioni molto forti, la sua sua pagina intercetta informazioni di tutti gli orientamenti. E infatti, se io dovessi fare una statistica di quanti votano sì e quanti votano no tra i miei amici in base alle cose postate da loro che arrivano sulla mia pagina facebook, troverei metà e metà. Accade perché non avendo espresso io un’opinione forte sul referendum, mi arriva l’uno e l’altro. Se però uno esprime opinioni nette, la cosa cambia».
È più a rischio chi esprime opinioni nette?
«Sì, perché vengono maggiormente targettizzati e profilati: verso queste persone viene orientato un flusso di informazioni più vicine alle loro opinioni, per favorire i "mi piace" e le condivisioni, per accrescere il traffico. Se io fossi di un'idea e mi arrivassero solo opinioni che sposano l'idea contraria sarei tentato di non andare più su facebook, e viceversa, la profilazione, invece, ha lo scopo di avvicinare. È vero anche che le persone che più subiscono di più questo tipo di profilazione, sono quelle che non cercano confronto ma solo conferma delle proprie opinioni, un po’ come accade a chi compra per scelta solo giornali d’opinione».
È vero che il rischio di essere esposti a un “pensiero orientato” accade anche a chi compra giornali d’opinione, ma almeno di solito i giornali fanno una selezione professionale che esclude le notizie che non sono tali, le cose false o non attendibili. In rete invece ha diritto di cittadinanza tutto. Come difendersi dalle balle spaziali, dai fake?
«Il rischio delle bufale è elevatissimo. Perché i social non sono editori, sono aggregatori di contenuti, luoghi in cui ci si riunisce e si danno notizie che non devono essere accertate dai gestori, mentre i giornalisti devono verificare. È chiaro che se le persone sono ingenue e non cercano verifiche su altre fonti rischiano di prendere le bufale per buone. A quanto pare facebook starebbe studiando un algoritmo per smascherare le bufale e stabilire il tasso di veridicità e attendibilità delle notizie.Ma e' realistico pensare che un algoritmo possa fare questo?».
Che cosa consiglierebbe all'utente medio per orientarsi meglio?
«Di andare sul sito del Garante della privacy e scaricarsi gratuitamente il vademecum come difendersi dai social network, che vuol dire innanzi tutto non pubblicare né dati personali troppo sensibili, né opinioni troppo smaccate di cui ci si può pentire e poi di non fermarsi alle condivisioni sui social ma cercare verifiche sui siti riconducibili alle testate già note, soprattutto se la notizia sembra molto eclatante».
Oggi si diffida anche della mediazione del giornalismo, che fare?
«Bisogna distinguere tra informazioni giornalistiche e non giornalistiche, per quelle giornalistiche la risposta esatta è deontologia, l’unico strumento che il giornalista ha per rendersi credibile e per distinguersi da un avventuriero dilettante. Per quanto riguarda i gruppi che stanno dietro i giornali e che distribuiscono informazione devono darsi delle regole, anche i motori di ricerca che indicizzano contenuti prodotti da altri dovrebbero contribuire economicamente, questo darebbe anche ai motori un interesse al controllo e alla segnalazione dei contenuti più attendibili».
Che cosa si sentirebbe di dire a un utente tentato di pensare "mi fido più di me stesso che dell’esperto di turno"?
«Direi che fa bene a non fidarsi dell'esperto che non pubblica un curriculum sommario, di chi non dice che studi ha fatto, di chi non mostra una qualche prova cui ancorare la propria autorevolezza. A patto che chi non si fida non pretenda poi di poter sapere tutto e poter fare solo da sé: un conto è avere un sano senso critico che porta a non farsi abbindolare dal primo sedicente esperto che passa, altro è pretendere di farsi tuttologi per non doversi appoggiare al sapere altrui».