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martedì 05 novembre 2024
 
Una tragedia assurda
 

Perché i nostri ragazzi giocano con la morte

09/03/2017  Un ragazzo di 13 anni a Soverato è morto sotto i binari di un treno mentre stava facendosi un selfie con altri due amici, che invece si sono salvati. Lo psicoterapeuta Alberto Pellai fa una riflessione sul rapporto che i nostri giovanni hanno con l'idea della morte, così poco reale e così tanto immaginata e vissuta virtualmente, perchè "dentro un videogioco muoiono tutti, ma in realtà non muore nessuno". Occorre invece parlare con i nostri figli di questi temi, senza paura, per affermare quanto la vita sia preziosa

La notizia è rimbalzata su tutti i media. Ed è una di quelle notizie che a noi genitori fa stringere il cuore e ci toglie il fiato. Un tredicenne perde la vita perché intende sfidare la morte. No, non per comprendere cosa davvero la morte sia. Né tantomeno per segnare il confine tra la vita e la morte.  Quel tredicenne, ed il cuore è colmo di dolore quando scrivo un’età per identificare una persona, perde la vita perché decide di farsi un selfie, mentre sopraggiunge il treno alle sue spalle. L’idea è quella di immortalarsi in un momento estremo: ovvero un secondo prima che il treno lo travolga. E poi naturalmente mettersi in salvo, pensando che la velocità del treno si sintonizzi con i suoi bisogni e desideri ingenui di tredicenne. Immortalarsi in un selfie: ovvero rendersi immortale attraverso un’immagine da condividere nei propri social. E mentre uno rincorre l’immortalità, la morte in realtà gli ruba la vita. Lo porta via al suo futuro. Lo rende una notizia del telegiornale, delle prime pagine dei quotidiani: si diventa una notizia di cronaca nera.

 


Perché i nostri ragazzi giocano con la morte, la sfidano con tanta ingenuità, non realizzano che il rischio cui si espongono a volte è fuori dalle loro capacità di controllo? Ci sono tanti fattori che secondo me contribuiscono a questo fenomeno. Il primo è che nessuno fa un lavoro educativo intorno al tema della morte. Ai bambini, ai preadolescenti noi nascondiamo la realtà della morte pensando che essa rappresenti un pensiero troppo pericoloso per loro, qualcosa da cui dobbiamo proteggerli. I nostri figli appartengono alla prima generazione di bambini e bambine, ragazzi e ragazze i cui genitori più volte hanno deciso di non portarli al funerale di un parente, di non condurli in visita ai defunti nei cimiteri. I nostri figli sono anche quelli che giocano tutti i giorni a videogiochi dove si producono morti per fare punti, per vincere una partita. E’ chiaro che della morte reale, quella che interrompe le vite vere, quella che sta nel principio di realtà, quella che fa piangere e soffrire perché allontana per sempre gli affetti, non sanno nulla.

 

E allora provano a maneggiarla con i pochi strumenti che possiedono, nella totale incompetenza in cui il nostro vuoto educativo li ha lasciati. La trattano come un gioco, come una cosa da sfidare per immortalarne l’evitamento con un click. Ma quando la morte arriva non si presenta con la leggerezza di un tasto che schiacci sullo smartphone. Arriva e dilaga, irrompe e travolge, distrugge e separa. Chissa che cosa c’è nel cuore e nella mente dei due coetanei che ieri hanno visto in diretta la morte del loro amico, finito sotto un treno per conquistare l’immortalità in un selfie assurdo e purtroppo suicida. Oggi probabilmente avranno dentro tutto il dolore del mondo, tutta la verità sulla morte, tutta la fatica di sentirsi corresponsabili di un gesto assurdo e tremendo. Un gesto che lascia vuoti tutti e genera il vuoto intorno a sé. Ora sanno perché quello a cui giocavano ieri non era un gioco. Ma un fatto gravissimo. E ora hanno compreso che con la morte non si gioca. La morte bisogna imparare a pensarla, a metterla dentro di sé come la conclusione inevitabile della vita. E se è vero che tutti noi viventi dobbiamo morire, è anche vero che ogni giorno dobbiamo affermare e celebrare la vita, allontanandoci da ciò che la può mettere in serio pericolo, imparando a conoscere il rischio e il pericolo, per saperli gestire nel principio di realtà e soprattutto per prevenirli e tenerli al di fuori della nostra esistenza.

Un'immagine dei soccorsi sul luogo dove un tredicenne è stato investito mortalmente da un treno tra le stazioni di Soverato e Montauro (Catanzaro)
Un'immagine dei soccorsi sul luogo dove un tredicenne è stato investito mortalmente da un treno tra le stazioni di Soverato e Montauro (Catanzaro)

I nostri figli invece il rischio lo cercano e lo rincorrono. Lo trovano eccitante. Lo sperimentano per fotografarlo e condividerlo nei social. Quando quel rischio diventa una notizia di cronaca nera è perché era un rischio malsano, involutivo, dannoso. Abbiamo letto tante storie di ragazzi che sono morti per colpa di sostanza psicotrope, perché si sono messi alla guida dopo aver “sballato”, perché si sono tuffati da un terrazzo di un albergo pensando di fare centro nella piscina posizionata sette piani sotto. Si tratta spesso di storie che raccontano di ragazzi che in realtà non trovano più il baricentro della propria esistenza e quindi giocano la loro vita, rischiando la morte. Come se la vita fosse poco preziosa. O fosse garantita per sempre. In effetti, dentro un videogioco muoiono tutti, ma in realtà non muore nessuno. 

 


Questo tempo e questo contesto socio-culturale insegna ai nostri figli a non pensare alla morte, a inseguire l’eccitazione invece dell’emozione e dei sentimenti, a spostare i confini e il senso del limite sempre più in là. Morire per farsi un selfie in situazioni estreme…… è anche morire per tutto questo. Ovvero morire per un vuoto educativo di cui, come adulti e genitori, dobbiamo sentirci corresponsabili. Io parlerò con i miei figli di questa morte tragica che mi riempie di dolore. Parlerò del valore della vita e del fatto che ognuno di noi deve considerare la vita un tesoro prezioso, da difendere ad ogni costo, in ogni situazione. E parlerò con loro anche della morte. Del dolore che provoca a chi rimane. Della responsabilità e del rispetto che ciascuno di noi deve avere nei confronti della morte. Perché solo se si è stati educati a sentirsi responsabili e rispettosi intorno alla morte, lo si può diventare anche nei confronti della vita. 

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