A che cosa starà mai pensando? È la domanda che, fra il divertito e l’angosciato, si pongono i papà e le mamme davanti ai loro figli, in particolare quando vivono quell’affascinante e terribile stagione che è l’adolescenza. Pete Docter, regista del film Disney-Pixar Inside Out in tv dopo aver ammaliato i ragazzi al cinema e regalato più di uno spunto di discussione gli adulti, ha confessato che l’ispirazione gli è arrivata osservando la figlia Ellie, che all’inizio delle riprese aveva 11 anni.
Proprio come la protagonista del film, Riley, ragazza solare, adorata da papà e mamma, appassionata di hockey, la cui vita scorre lieta fino a quando la bella famigliola non deve lasciare il Midwest per trasferirsi a San Francisco. Nuova scuola, addio ai vecchi amici, un ambiente diverso, e i problemi fanno capolino...
Che cosa passa, dunque, per la testa di Riley? Per rispondere alla domanda, i produttori hanno avuto un’idea semplice e geniale: sono entrati nella mente della ragazza, nella cabina di comando della sua personalità, e hanno provato a raccontare che cosa succede, dando corpo (cinematografico) a cinque emozioni: Gioia, Tristezza, Paura, Rabbia e Disgusto. «Il merito principale del film è di mostrare che l’io cosciente costituisce solo una piccola parte della personalità, di dare visibilità ai fattori inconsci che ci abitano: in ciò svolge onestamente la sua funzione », nota Luigi Zoja, uno dei maggiori psicoanalisti italiani; il suo libro Psiche (Bollati Boringhieri), come Inside Out, tratta delle “personalità parziali interiori” che risiedono nella mente. «Ci si può domandare perché siano state scelte proprio queste cinque emozioni, e perché cinque e non dieci, ma più interessante è rilevare che la psiche della protagonista è scomposta in cinque elementi tutti interni al soggetto, tutti interiori, mentre manca la componente relazionale, il rapporto con gli altri, che invece è centrale nell’adolescenza: per i ragazzi dell’età di Riley il giudizio esterno conta molto e l’amicizia predispone a quella forma di apertura all’altro che è l’innamoramento».
Uno dei momenti più riusciti del film è quello in cui Gioia – che ha un ruolo prioritario rispetto alle altre emozioni – capisce che Tristezza è necessaria, che anche lei ha la sua funzione nella mente di Riley: è il passaggio dall’infanzia all’età adulta, una prima forma di equilibrio fra le forze che albergano nella ragazza. «In realtà ogni principio psichico si struttura come una coppia di opposti, anche se il mondo di oggi tende a svalutare emozioni come la malinconia, senza la quale, invece, non sarebbe stata prodotta gran parte della poesia, dell’arte, della musica», precisa Zoja. «Sulla prevalenza di Gioia, è ravvisabile un retaggio del modello americano e disneyano, e in fondo della cultura dominante, che ci vuole tutti sempre felici e contenti: infatti Gioia viene rappresentata come bella, simpatica, intraprendente, mentre Tristezza è bruttina, spenta, quasi incline alla depressione. Certo, ai produttori del film si imponeva una semplicazione, e quindi una rappresentazione non proporzionata dello spazio delle emozioni era forse inevitabile, ma resta il fatto che oggi la tendenza è quella di considerare non valori emozioni come la tristezza. Nel momento in cui Gioia lascia spazio a Tristezza, ricompone l’equilibrio, mentre prima si caratterizzava per un eccesso di protagonismo».
Una delle scene-chiave di Inside Out è quella in cui Riley, in fuga da San Francisco per tornare nel Midwest, dove era una bimba spensierata, decide di scendere dall’autobus e torna dai genitori. «Dimostra che nella mente a ogni età resiste un margine di libertà, nel quale si gioca la dimensione etica della vita». Secondo alcuni, il film suggerisce l’idea che le persone non godano del libero arbitrio, in quanto governate da impulsi irrefrenabili, «mentre la decisione di scendere dall’autobus indica che la ragazza può scegliere, nonostante la pressione dei ricordi primari».
E che dire della ragione, relegata a un ruolo marginale? «Quella del film è un’interpretazione corretta, considerato che l’attività razionale rappresenta solo una piccola porzione della parte cosciente dell’io e anche l’età della protagonista. Crescendo, impariamo a gestire le emozioni, a respingere la tentazione a retrocedere all’età mitica dell’infanzia». In Psiche Zoja spende parole positive sul ruolo dell’amico immaginario, quell’alter ego inventato dai bambini che in Inside Out trova una simpatica espressione nella figura dell’elefantino rosa Bing Bong: «È un esercizio di autoterapia, grazie al quale ci si apre l’accesso ad aree sconosciute alla ragione, una forma di contatto con il nostro mondo interiore: sbagliano i genitori che rimproverano i figli perché perdono tempo “dando retta” al loro Bing Bong personale».
Se le dinamiche relazionali sono trascurate, va riconosciuto che il film attribuisce alla famiglia un ruolo fondamentale: giustamente, secondo Zoja, dato che «se un bambino crescesse su un’isola, non per questo non sognerebbe una famiglia». Efficace, infine, la resa grafica del peso dei ricordi, con quelle alte pareti di palle colorate, perché «evoca l’idea dell’immensità del mondo interiore, degli spazi enormi che risiedono dentro di noi».