Marco Rotelli di Intersos.
Del programma, in termini pratici, si sa ancora poco. Si conoscono alcuni nomi degli otto personaggi che andranno a trascorrere un periodo nei campi profughi di Congo e Sudan al fianco di Intersos e Unhcr (Al Bano, Michele Cucuzza, Barbara De Rossi, Emanuele Filiberto, tutti reduci da altre esperienze di reality di vario genere). Ma, intanto, arriva un'assicurazione. «Non sarà un reality show. Non ci saranno premi, giochi, concorsi o quiz». Il chiarimento arriva da Marco Rotelli, segretario generale dell'organizzazione umanitaria Intersos, attiva con i suoi progetti in tutto il mondo, bersaglio di molte polemiche per la decisione di collaborare con la Rai nella realizzazione del programma The Mission.
Sul motivo della scelta, Rotelli - che ha anche pubblicato un comunicato sul sito della Ong - spiega: «Siamo stanchi di continuare a fare cooperazione e lavoro umanitario - in
sinergia col mondo del giornalismo - rimanendo però chiusi nella riserva degli
"addetti ai lavori". E' corretto, e fa parte delle nostre priorità,
divulgare queste tematiche al cosiddetto grande pubblico, a più persone possibile. Ci abbiamo provato
per tanti anni, abbiamo cercato di lavorare su un tipo di informazione che però non
ha avuto altro riscontro se non in programmi di terza serata e in poche righe
sui giornali, ovviamente con qualche eccezione».
Ma perché coinvolgere i personaggi dello spettacolo? «Non è un tentativo di puntare i riflettori sui volti noti, ma l'intento è di lavorare con loro in quanto, proprio per la loro notorietà, sono vettori di informazione verso il grande pubblico. Sono persone note che ad alcuni non piacciono, ma ad altri sì. Finora stanno partecipando nei termini che abbiamo fissato. L'intesa che finora c'è stata con la Rai ci dà tutti gli elementi per credere che sarà un prodotto realizzato nel rispetto della dignità delle persone coinvolte nelle nostre missioni».
Eppure, alcuni avanzano il timore che un programma di questo genere
possa danneggiare tutto il mondo delle Ong, con ricadute negative sulle
donazioni. Ma Rotelli non è d'accordo. «Noi non stiamo cercando a tutti i
costi il fundraising, vogliamo comunicare con il grande pubblico. Se lo
facciamo è perché siamo convinti che il programma possa avere ricadute
positive, non certo danneggiare il lavoro delle Ong».
E aggiunge: «Siamo consapevoli che questo programma pone dei rischi per Intersos. In primo luogo di immagine. Li abbiamo valutati, ci abbiamo ragionato e riteniamo che, allo stato attuale delle cose e degli accordi presi, il potenziale di trasmissione del messaggio superi di gran lunga i rischi. E comunque, saremo assolutamente attenti a evitare che questi ultimi ricadano sulle spalle
dei rifugiati e delle persone che assistiamo con i nostri progetti. I rischi ce li accolliamo noi come Ong, senza compromettere il nostro lavoro».