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lunedì 17 marzo 2025
 
DECRETO DIGNITÀ
 

«Bene sull'azzardo, ma contro la precarietà serve un patto nuovo»

09/08/2018  Il presidente nazionale delle Acli, Roberto Rossini, analizza le norme diventate legge: "quello che appare carente è l’impianto complessivo di un intervento sul mercato del lavoro, a poco meno di due anni da una riforma importante come il cosiddetto Jobs Act".

Il decreto Dignità muove dalla premessa di voler restituire centralità ai lavoratori e alle imprese, richiamando il senso etimologico del termine “dignità”, da “dignus” cioè meritevole, in un momento, quale quello attuale, in cui diversi fattori tra cui la crisi economica del 2008, la globalizzazione, la digitalizzazione dei processi, la tecnologia sempre più pervasiva, la nascita di nuove figure professionali - come nel caso dei cosiddetti “gig worker” - mettono in discussione i paradigmi tradizionali del diritto del lavoro.

Se è vero, infatti, che restano fermi i principi costituzionali di centralità del lavoro e che la legge deve continuare a tutelare il soggetto più debole del rapporto tra capitale e lavoro, cioè il lavoratore, è altrettanto vero che cambiano le forme con cui lo Stato (non più da solo) si inserisce nella dialettica economica assicurando le tutele ai lavoratori. In definitiva, la loro dignità.

Il decreto legge avrebbe dovuto affrontare anche questi temi in un’ottica di sistema e di medio periodo, tenendo conto dei mutamenti delle forme organizzative e delle competenze richieste dalle imprese. Il provvedimento avrebbe dovuto dotare i lavoratori di un rinnovato welfare rispetto alle mutate condizioni del mercato del lavoro e coinvolgere tutte le parti sociali, compreso le rappresentanze sindacali, per fornire ai datori di lavoro strumenti contrattuali rinnovati e adeguati a cogliere le nuove sfide a cui l’intera società è chiamata a rispondere.

Senza entrare nel merito dell’opportunità di utilizzare una parola tanto evocativa quanto importante nel titolo di un testo di legge, quello che sembra mancare nel provvedimento approvato nei giorni scorsi è la sistematicità delle diverse misure. Oltre il merito delle singole disposizioni, quello che appare carente è l’impianto complessivo di un intervento sul mercato del lavoro, a poco meno di due anni da una riforma importante come il cosiddetto Jobs Act.

Sul fronte del lavoro, limitandosi a rendere più rigide le regole del contratto a termine, l’intervento normativo rischia di produrre effetti contrari a quelli sperati, se non inserito in un più ampio contesto di riduzione generalizzata del costo del lavoro.

In tal senso è certamente positiva la modifica parlamentare dell’estensione dell’incentivo per le assunzioni a tempo indeterminato dei giovani under 35, ma si tratta di una misura ancora troppo selettiva rispetto ad altre fasce della popolazione che pure incontrano difficoltà a inserirsi o reinserirsi nel mercato del lavoro, come rispettivamente nel caso delle donne e degli over 50. Ridurre la durata massima dei contratti a termine, reintrodurre le causali, aumentare il costo di questi contratti, potrebbe prevedibilmente comportare un meccanismo di sostituzione dei lavoratori o di sfiducia delle imprese rispetto a questo istituto, invece che aumentare le assunzioni a tempo indeterminato. Non è stigmatizzando alcune forme di lavoro che si aumenta la stabilità nel lavoro. È bene ricordare, inoltre, che nonostante nel solo 2017 i tempi determinati siano cresciuti di 537mila unità, a fronte di una riduzione di 117mila contratti a tempo indeterminato, il ricorso al contratto a termine è nella media rispetto ad altri Paesi d’Europa: in Italia i contratti a tempo determinato sono il 12,1% del totale, in Francia la percentuale è del 14,9%, in Portogallo del 19% e in Spagna del 22,4%.

Anche le modifiche sul lavoro accessorio, intervenendo solo su alcuni settori (da noi considerati non quelli più opportuni, come agricoltura e turismo) e in questo particolare periodo dell’anno, hanno rappresentato un’occasione persa di riformare una disciplina troppo frettolosamente abrogata come quella dei voucher, ripristinando così uno strumento agile per il ricorso limitato e controllato a determinate tipologie di prestazioni lavorative come era stato previsto dalla Riforma Biagi.

Nella situazione attuale, sarebbe semplicistico dichiarare che rendere più difficile attivare o rinnovare un contratto a termine possa aumentare la dignità del lavoratore quando, invece, l’effetto potrebbe essere quello di limitare le sue opportunità professionali come avvenuto per quei lavoratori che non hanno potuto vedersi rinnovare il contratto a tempo determinato per l’entrata in vigore della nuova disciplina prevista dal decreto legge, che non ha contemplato un periodo transitorio per l’applicazione delle nuove norme.

In una logica di medio - lungo periodo e di sistema, occorrerebbe invece garantire a tutti i lavoratori il mantenimento di adeguate competenze che sono la vera garanzia di continuità nel lavoro.

In ogni caso, il decreto ha il merito di aver rimesso al centro del dibattito il tema del lavoro, prioritario per lo sviluppo e il rilancio del nostro Paese. La dignità passa anche dal lavoro, dall’avere un’occupazione che consenta la costruzione di un progetto di vita, l’inclusione sociale e la crescita professionale. È per questa ragione che la questione del lavoro dovrebbe essere affrontata in un’ottica più ampia di riduzione della disoccupazione, realizzando quelle condizioni che avvicinano le persone al mercato del lavoro. In tal senso, è necessario un approccio di sistema con interventi sinergici che partano dalla riduzione dello skill mismatch, ossia della differenza tra le competenze richieste dalle imprese e quelle acquisite nei percorsi formativi. E’ necessario lavorare alla costruzione di una filiera formativa professionalizzate e orientata alla domanda di lavoro, che parta dalla formazione professionale secondaria e arrivi fino al livello terziario con l’offerta formativa degli istituti tecnici superiori (ITS), sulla scorta delle positive esperienze tedesca e francese dove i tassi di disoccupazione giovanile sono al di sotto di quello italiano (In Italia la disoccupazione giovanile è di circa il 35%, in Francia di circa il 22% e in Germania poco superiore al 6%).

Prendendo atto di un contesto produttivo e di un mercato del lavoro caratterizzato sempre di più dalle transizioni da un’occupazione all’altra, occorrerebbe dotare il nostro paese di un sistema di politiche attive efficaci in grado di assistere queste transizioni e di ridurre al minimo i tempi di disoccupazione nel passaggio da un lavoro all’altro, anche attraverso interventi formativi di qualità e lungo tutto l’arco della vita per favorire eventuali riqualificazioni.

Apprezzabili sono, infine, le misure che il decreto dignità dedica al contrasto all’azzardopatia anche attraverso il divieto di pubblicità e la tutela dei minori, particolarmente esposti alla degenerazione in forme patologiche di gioco. Sicuramente un segnale per quelle famiglie che vivono il dramma delle conseguenze di simili patologie, da tempo richiesto dalle organizzazioni sociali ed educative, tra cui le Acli.

È importante che il Governo continui ad occuparsi della questione del lavoro che è in assoluto il tema prioritario per il rilancio del nostro Paese e che ci sia, in termini di metodo, un dialogo costante con le parti sociali e con le organizzazione che se ne occupano per vocazione. Sicuramente la manovra economica, in discussione già in queste ore, potrà rappresentare un ulteriore momento di riflessione, utile per apportare altre migliorie al mercato del lavoro, a beneficio di persone e imprese. Come Acli guarderemo con attenzione agli effetti del decreto Dignità e alla manovra fiscale per la quale abbiamo già una serie di proposte da presentare.

Roberto Rossini,

presidente nazionale delle Acli

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