«La sera del 29 gennaio, sul
palcoscenico, avevo un
magone che non finiva
più. Il pubblico continuava
a battere le mani, mi
venivano giù le lacrime e
a un certo punto mi sono detto: io me
ne vado a casa». La voce serena, gentilissima
di Franco Cerri si incrina
in un ricordo di profonda emozione:
la sera del suo compleanno il Teatro
Dal Verme di Milano stracolmo di
spettatori ha celebrato i 90 anni
dello straordinario chitarrista milanese,
uno dei nomi più celebri e
amati del jazz italiano.
«Sono arrivato a questa età e per
me è una piccola vittoria. Speriamo
che vada avanti ancora per un po’. Per
il momento va bene, cammino con le
mie gambe, la testa funziona, continuo
a scrivere musica». Una carriera
musicale lunghissima, a partire dagli
anni Quaranta, costellata di successi,
incontri con i miti del jazz mondiale,
collaborazioni e amicizie con i grandi
della musica italiana, da Renato
Carosone a Nicola Arigliano.
Cerri ricorda i suoi esordi da autodidatta,
gli albori di una passione musicale
che, grazie a un talento fuori dal
comune e a una serie di eventi fortunati,
è diventata la sua vita.
GLI ESORDI NEI CORTILI MILANESI. «Da ragazzo
avevo iniziato a fare il muratore,
in seguito l’ascensorista, l’aiuto fattorino,
poi l’impiegato. Sopra casa nostra
abitava un signore che suonava la chitarra
e canticchiava dei motivetti. Mi
rimase in testa il suono dello strumento». La prima chitarra gliela regalò nel
1943, all’età di 17 anni, suo padre. «Ma
lui mi diceva che un maestro costava
troppo. Io non conoscevo nemmeno i
nomi delle corde della chitarra».
A dargli una grande mano fu l’amico
pianista Giampiero Boneschi,
che gli insegnò i primi rudimenti di
teoria. «Per me lui è stato l’unico maestro
». Erano gli anni della guerra:
«Ci chiamavano a suonare per i militari
feriti che tornavano dal fronte».
Un’immagine indelebile: «Una volta
portarono sette soldati senza braccia
e senza gambe, che ridevano allegri.
Io quasi non riuscivo più a suonare.
Allora imparai che non si tratta solo
di suonare: bisogna servire il pubblico.
Ancora oggi ogni tanto mi capita di sognare
quei soldati».
Poi, con la fine della guerra, a Milano
si tornò a ballare nei cortili. E
Cerri ripercorre l’incontro casuale,
una sera, con il famoso musicista e
compositore Gorni Kramer, che riconobbe
la sua bravura e, tempo dopo, lo
invitò a suonare nel suo gruppo. «Ricordo
l’incredulità dei miei genitori. E
la commozione di mia madre quando
la portai a vedere le prove per dimostrarle
che era tutto vero».
Negli anni seguenti iniziarono gli
incontri musicali con gli americani,
che venivano in tournée in Italia e in
Europa: «Anche io sono andato spesso
negli Stati Uniti e lì ho suonato con
i più grandi del jazz, da Chet Baker
a Gerry Mulligan. Imparavo i loro
modi: loro suonavano con tranquillità,
io invece ero pieno di paure, e lo
sono ancora. Prima di esibirmi mi
prende sempre un momento di smarrimento.
Questo è il mio punto debole,
però non fa male a nessuno e cerco di
non fare male neppure a me stesso».
A dargli popolarità ha contribuito
anche la Tv: per tanti italiani lui ancora
oggi è “l’uomo in ammollo” di uno
spot televisivo degli anni Settanta che
reclamizzava un detersivo per bucato.
Ma l’immagine pubblicitaria non ha
mai offuscato il musicista.
A voce bassa Cerri accenna una
melodia. «In casa suono poco», spiega,
«scrivo la musica, poi dopo con la
chitarra controllo se ho fatto la composizione
giusta». Sempre presente al
suo fianco c’è sua moglie Marion, che
lo aiuta tanto nel suo lavoro: «Siamo
una bella coppia, stiamo bene insieme
». Immancabile è l’appuntamento
settimanale con i suoi allievi dei Civici
corsi di jazz: «A scuola ho trenta
studenti. Ogni martedì a lezione affido
loro un arrangiamento che ho messo a
punto e che devono saper leggere la
settimana successiva». Insegnare lo
appassiona, gli regala sempre entusiasmo
ed energia nuova. «E adesso che
ho 90 anni cosa dovrei fare, fermarmi?
Non ci penso proprio. In fondo, suonare
è l’unica cosa che so fare».