INTERVISTA A MAURIZIO MICHELI
Noto attore e autore di pièce, come Mi voleva Strehler, scritta con Umberto Simonetta, in scena da anni con successo, in cui ricorda i suoi anni al Piccolo Teatro di Milano, Maurizio Micheli, protagonista dell’epoca d’oro del cabaret, di famosi varietà televisivi, con la regia di Antonello Falqui, di film - con la regia, tra gli altri, di Bruno Corbucci, Steno, Dino Risi - , dagli anni Novanta si è dedicato prevalentemente al teatro, con successi quali le commedie musicali di Garinei e Giovannini, Buonanotte Bettina, Un paio d’ali, Un mandarino per Teo e altri musical come Cantando cantando e Polvere di Stelle, adattamento teatrale del celebre film di Alberto Sordi; ha interpretato anche spettacoli di prosa L’anfitrione, La presidentessa con Sabrina Ferilli, sua partner di scena anche nella divertente commedia francese Signori... le patè de la maison!; con Tullio Solenghi ha recitato in Italiani si nasce e noi lo nacquimo e L’apparenza inganna.
I personaggi che interpreta e che inventa quando scrive sono uomini comuni dotati di una sottile ironia tesa a far riflettere il pubblico su problemi quotidiani. Anche nella sua recente commedia, che debutta al Teatro Franco Parenti di Milano, il 3 novembre 2017, Uomo solo in fila.
I pensieri di Pasquale, con un sotteso riferimento ai pensieri del filosofo Blaise Pascal, incarna un uomo qualunque. Egli viene convocato in un ufficio pubblico e aspetta il suo turno per capire il motivo della chiamata e, nell’attesa, si pone domande profonde sul senso della vita, sulla condizione della società contemporanea, pur suscitando spesso il sorriso e la complicità del pubblico per la situazione che sta vivendo.
«La struttura del testo che ho scritto – spiega Micheli – è ispirata al cabaret, come si intendeva una volta, cioè uno spettacolo da camera che propone una satira sociale e di costume, un cabaret inteso nel suo senso più nobile, come invece, purtroppo, oggi non esiste più, poiché un comico crede di divertire andando in televisione solo a raccontare barzellette. In Uomo solo in fila la “camera” in cui si svolge l’azione è costituita dalla stanza claustrofobica di un ufficio pubblico, forse l’agenzia delle entrate che magari è stata chiusa definitivamente e la gente in coda è rimasta imprigionata dentro, senza rendersene conto; così si crea un’atmosfera beckettiana di attesa in cui si aspetta qualcosa o qualcuno che risolva la situazione. Il mio personaggio, solo in scena, interagisce con personaggi immaginari anche loro in coda, e aspetta che chiamino il suo numero per conoscere il suo destino, intanto si sofferma anche su alcune osservazione sulla realtà di oggi, sui fenomeni universali come la disuguaglianza provocata dalla miseria e dalla ricchezza, le problematiche relative all’ambiente in cui viviamo, le difficoltà del mondo di oggi dominato dal web, un mostro che ci tiene sempre connessi e che è diventato il nostro padrone.
In un monologo intenso Pasquale spazia dalla speranza, alla noia, all’angoscia dell’attesa e mostra il suo desiderio di possedere una fede solida e spera di incontrare qualcuno che lo salvi, ha voglia di fuggire e di non conoscere il motivo per cui è stato chiamato, ma poi non si muove. L’azione si svolge in uno spazio concentrazionario, in una situazione surreale tra Beckett e Kafka, anche se procede in modo molto più leggero con momenti divertenti, intervallati da musiche e canzoni.
Pasquale diviene una povera vittima, come altri personaggi che ho interpretato, un piccolo uomo che si scontra con il potere precostituito, come nel mio “cavallo di battaglia” Mi voleva Strehler in cui il protagonista è un attore che si sottopone a vari provini, aspettando il giudizio supremo, rappresentato dall’incontro con il più grande regista del mondo, Strehler, situazione simbolo delle aspettative di ognuno di noi del giudizio finale.»
Maurizio Micheli, data la sua assidua frequentazione del mondo dello spettacolo, tra teatro, cinema e televisione, dice: «Anche oggi se un attore è bravo viene apprezzato; certo per intraprendere questo mestiere ci vuole passione e talento, oggi si fanno molti provini in teatro, casting in tv, ma mancano programmi di valore. In televisione oggi assistiamo solo a programmi sui delitti e sui fatti di cronaca nera, a simulazioni di processi, a fiction violente di mafia e con omicidi efferati, così il pubblico si abitua a cercare solo questo tipo di programmi. Quando ero ragazzino, il venerdì sera, in televisione trasmettevano le commedie, che richiedevano lentezza, cioè tempi lunghi di svolgimento dell’intreccio, come in teatro, ma oggi siamo ossessionati dalla velocità e, più che seguire un programma per intero, teniamo in mano il telecomando senza soffermarci più su niente. Così mancano anche gli autori televisivi, io ho lavorato con Antonello Falqui nel varietà, con i testi erano ben congegnati, e niente era lasciato all’improvvisazione, come oggi che chiunque crede di poter fare l’attore e l’autore. È un lavoro che io ho sempre fatto con passione, studiando e perfezionandomi, pur essendo tutta la vita che faccio questo mestiere, alternando testi scritti da me, a commedie scritte da altri che rendo un po’ mie, adattandole al mio modo di recitare. Ho trasmesso anche a mio figlio Guido l’amore per lo spettacolo: è un direttore di doppiaggio a Roma, così guarda alla recitazione da un altro punto di vista».