È considerata la virtù dei deboli. Un atteggiamento da vivere fra le mura domestiche, ma da tenere a bada nella sfera pubblica, dove altrimenti si correrebbe il rischio di essere giudicati poco virili e competitivi. Eppure la tenerezza è il grande bisogno del nostro tempo, una virtù civile e persino politica, nel senso di costruzione del vivere insieme. È la tesi di una brillante teologa: Isabella Guanzini, 44 anni, originaria di Cremona e docente all’Università di Graz, autrice di Tenerezza: la rivoluzione del potere gentile (Ponte alle Grazie). Un libro che ha avuto un successo inaspettato anche per la sua autrice, che il 22 settembre ne ha parlato al Festival Torino spiritualità dialogando con il priore della Comunità monastica di Bose Luciano Manicardi.
C’è tempo oggi per la tenerezza?
«Oggi la vita richiede molta durezza. Prevalgono altri valori: la prestazione, la strategia, anche un po’ di cinismo. Non a caso la parola del momento è “cool”, che richiama proprio una sorta di freddezza, di distacco nei confronti delle cose e delle persone. Eppure c’è chi ci dice che la tenerezza sia quello che ci manca per poter vivere e sentire in un mondo comune, per poter essere più umani».
Non è un sentimento, lei scrive, ma una forza capace di trasformare la società e addirittura la politica. Come?
«A parlare di “rivoluzione della tenerezza” è stato papa Francesco, che ne ha fatto il centro del suo annuncio e della sua azione pastorale. Mi sono imbattuta in questa sua espressione e da lì ho cominciato la mia ricerca. Credo che la sfera del politico, nel senso ampio del termine, si giochi e concretizzi in tutti i gesti e gli incontri che fanno parte della nostra giornata e della nostra vita. Per questo la tenerezza, come approccio fondamentale all’altro, costruisce la città, lo spazio pubblico. Questo il Papa lo ha capito molto bene. Non è più possibile partire da concetti astratti. Bisogna farlo dai gesti elementari, più immediati, con i quali si costruisce giorno per giorno la vita. La tenerezza è una virtù civile in questo senso. In ufficio, in un’aula scolastica, in ascensore o al supermercato: è lì che si costruisce la polis, cioè il vivere comune, della quale i gesti di gentilezza e tenerezza cono costituitivi».
Dai social media ai dibattiti in televisione, sembra che l’aggressività oggi domini i rapporti...
«In questo periodo storico i social network sono quasi una cassa di risonanza di ferocia. Contengono una potenza comunicativa immediata e debordante che si riversa sul bersaglio del momento. Diventano il ricettacolo di tutti i nervosismi e le insoddisfazioni, come se fossero un campo magnetico. Ma proprio in quanto cassa di risonanza è possibile sfruttarli nella direzione opposta, immettendo qualche antivirus. Da un lato è possibile far emergere questa reattività disumana, e dall’altra diffondere un altro modo di essere social».
Oltre a papa Francesco quali altre guide ha avuto in questo viaggio attraverso la tenerezza?
«Etty Hillesum diceva di voler essere “un balsamo per molte ferite” all’interno di posti traumatizzati e mostruosi come i lager nazisti. Sulla tenerezza hanno molto da dire poetesse come Mariangela Gualtieri, Alda Merini e Wisława Szymborska. Durante la stesura del libro era come se il linguaggio della filosofia e della teologia, dal quale provengo, non fosse sufficiente. Un aiuto inaspettato mi è arrivato dalla poesia, l’unico linguaggio possibile per dire qualcosa sull’umano».
Perché la tenerezza fa paura?
«Perché la fragilità è il grande tabù del nostro tempo: entrare in contatto con la propria e quindi essere in grado di sentire quella dell’altro è forse la cosa più difficile oggi, ma anche la più importante. Perché senza questa percezione dei propri limiti e della propria finitezza non c’è saggezza di vita e nemmeno la possibilità di entrare in un rapporto davvero umano con l’altro. La tenerezza è un certo sentimento del tempo, perché sentire la fragilità è anche sentire – come recita Gualtieri – che “è breve il tempo che resta”. Non abbiamo molto tempo per stare insieme, per trattare l’altro in modo umano, che sia il figlio, il genitore, il collega o l’amico, il marito o la moglie. Quindi perché essere così duri? Perché sprecare energie in durezza, ferocia, indifferenza? È questo che contraddistingue la tenerezza: questo legame con la finitezza della vita».
(foto in alto: Ufficio Stampa)