La Juventus, campione d’Italia in pectore. Alle sue spalle, Milan e Napoli che si giocano una fetta di secondo posto nella sfida diretta. Tre squadre, il meglio del calcio italiano, a livello di club. Il meglio in Italia, che non basta in Europa. Semifinale di coppe europee, nessuna traccia di calcio tricolore. Sta diventando un’abitudine, ormai. Una pessima abitudine. Tutto sotto gli occhi di Arrigo Sacchi, attento osservatore del calcio (nazionale e internazionale), che sta provando a lavorare sul futuro, partendo dai giovani (è responsabile delle nazionali giovanili). Sacchi, cosa accade al calcio italiano?
"Nulla di nuovo, purtroppo. E’ un percorso lungo, che va avanti da un bel po’ e lo ha portato in questa situazione. A volte, sembra che il nostro calcio sia stanco, tanto da risultare fermo rispetto ad altre realtà".
- Forse il calcio rappresenta per certi verso lo specchio del paese?
"Non c’è dubbio. Manca la voglia e la forza per rinnovarsi. Noi siamo lenti, quando non addirittura fermi, mentre gli altri accelerano. Succede nel calcio come in altri settori".
- Da dove bisognerebbe cominciare?
"Innanzitutto, dalla cultura sportiva: una robusta iniezione aiuterebbe il nostro calcio a ripartire, visto che in questo campo abbiamo sempre lasciato a desiderare. Quello dovrebbe essere il punto di partenza, il resto poi arriverebbe di conseguenza".
- Passiamo al resto.
"C’è una base fondamentale, nel calcio come nella vita: i giovani. Una maggior attenzione verso la politica dei settori giovanili è qualcosa di basilare, e non lo dico perché sono il responsabile delle nazionali giovanili ma perché lo dimostra il grande calcio europeo: le squadre migliori spendono tanto, ma allevano anche molti calciatori in casa".
- E’ una questione di risorse?
"Di attenzione, più che altro. I settori giovanili necessitano di risorse economiche, ma molto inferiori rispetto a quelle che si investono per comprare calciatori da fuori. E’ la programmazione che serve: al Chelsea, tanto per fare un esempio, dedicano dalle 16 alle 20 ore settimanali alle Academy in cui crescono i giovani, da noi si dedica molto meno tempo. E negli altri Paesi calcisticamente avanzati le strutture sono spesso all’avanguardia, anche quando parliamo di Academy. Da noi ho visto giocare partite di campionati giovanili su campi quasi indecenti".
- Le strutture non dovrebbero essere una delle basi da cui partire?
"Certo, a tutti i livelli".
- Dalle basi al calcio giocato il passo è breve: siamo messi così male?
"Non siamo a livello delle grandi d’Europa, questo è fuor di dubbio: la doppia sfida tra la Juve e il Bayern Monaco lo ha dimostrato".
- Eppure era la Juve, già quasi campione d’Italia: c’è di che preoccuparsi?
"In generale, sì. Quanto alla Juve, molto meno".
- Perché?
"Sappiamo la storia della Juve degli ultimi anni e sappiamo quanto passi in avanti ha fatto partendo da una situazione complicata. A livello di club, è l’unica squadra di stampo europeo: non è ancora all’altezza delle migliori per ovvie ragioni, ma sta lavorando nel modo giusto".
- Altri esempi positivi?
"Prandelli sta facendo un gran bel lavoro con la Nazionale maggiore, un cammino che ha portato gli azzurri in un binario nuovo, lontano dall’eccessivo conservatorismo italiano. E sulla stessa lunghezza d’onda è sintonizzato Mangia con l’Under 21. Ecco, le nazionali stanno lavorando molto bene".
- Domenica si è svolta la sfida per il secondo posto tra Milan e Napoli: sono ancora molto lontane dalla Juve?
"I bianconeri si avvicinano molto di più ai canoni del calcio europeo, anche se non basta per stare alla pari con le grandi. Milan e Napoli, invece, non è un caso che in serie A stiano alle spalle della Juve".
- E in prospettiva?
"Bisognerà capire anche cosa accadrà in estate. Comunque Allegri sta lavorando a un progetto nuovo, dopo lo stravolgimento della rosa: il Milan è cresciuto, ma può e deve fare meglio. Il Napoli traduce in campo le idee del suo allenatore, ma a livello dell’Europa di vertice fa molta fatica".