(Foto sopra: l'artista congolese Sinzo Aanza, 31 anni)
Poco dopo il tragico avvenimento di lunedì 22 febbraio - l'uccisione dell'ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e il loro autista Mustapha Milambo - un giovane intellettuale congolese pubblicava sul suo profilo Facebook questo post: «Luca Attanasio muore come diversi altri diplomatici, agenti o funzionari internazionali, a causa dei conflitti in Congo. La macabra lista di queste morti è stata aperta da Dag Hammarskjöld, segretario generale ONU dal 1953 al 1961, anno della morte avvenuta mentre si recava ad un incontro con Moïse Tshombe, presidente del Katanga secessionista, a Ndola [nell’attuale Zambia]. Tutto questo per dire che i conflitti congolesi sono la negazione dei grandi principi umanitari e del diritto; i conflitti congolesi sono buchi neri sulla faccia del mondo, così come è successo oggi. Tutto si annulla e scompare. Che il signor Attanasio e i suoi compagni riposino in pace! Non avranno giustizia, perché tutto si annulla, come – Dio solo sa quanti – i milioni di congolesi morti in questi buchi neri: non avranno giustizia... in ogni caso non allo stato attuale del mondo».
L'autore è Sinzo Aanza, 31 anni, artista poliedrico, basato a Kinshasa. Il suo lavoro si concentra sul “radicalismo della finzione”. La sua penna poetica e irriverente scandaglia la situazione politica della Repubblica Democratica del Congo e la sua immagine di paese che «è sempre appartenuto a investitori, preferibilmente stranieri». Lo sfruttamento delle risorse naturali, la rappresentazione delle varie identità regionali e dei loro eccessi, l’immagine del Congo nell'epoca coloniale sono temi che nutrono le sue opere visive e letterarie. Genealogia della banalità (ed. Vents d’Ailleurs) nel 2015 è stato suo primo romanzo. Abbiamo scambiato qualche idea, cominciando dalla situazione delle giovani generazioni nel suo paese.
«Senza mezzi termini, la situazione dei giovani in Congo è un disastro, un naufragio. E le autorità politiche in questo paese semplicemente, e da molto tempo, non lavorano. Voglio dire, ci sono molte notizie politiche, molte lotte politiche, grandi scandali per i soldi e sempre più annunci di progetti e di grandi affari, ma nessuno pensa alla vita come viene vissuta. Qui nessuno progetta, nessuno stabilisce politiche coerenti, nessuno valuta, nessuno costruisce, nessuno struttura. Credo che gli attuali giovani saranno sacrificati se non si stabiliscono rapidamente politiche responsabili, politiche che li inseriscano in realtà che diano senso alla loro vita, che allo stato attuale è uno spreco».
Cosa dire delle ricchezze culturali e artistiche congolesi di cui sei divenuto testimone in giro per il mondo?
«Per quanto riguarda le arti, direi che le politiche pubbliche non esistono, perché nessuno sembra più sapere cosa significhi fare politica in questo paese; le arti sono a terra. Gli artisti sono meravigliosi, ma essere dei creativi diventa una calamità. Una cosa terribile che recentemente ha attirato la mia attenzione è che si è arrivati a un punto tale che sono gli artisti e gli altri operatori privati a proporre una politica pubblica a chi non ce l'ha o non vi pensa nemmeno. In altri settori, spesso è la cooperazione internazionale a stabilire le politiche pubbliche. Mi aspetto che chi fa politica impari cosa significa “essere in politica”. Dal mio punto di vista, con un Paese così vasto e con le sue ricchezze oscenamente opulente, la centralizzazione del potere crea una tale distrazione da ciò che deve essere realmente fatto e da come le cose dovrebbero effettivamente essere, perché chi è al vertice si trova improvvisamente preso dal troppo potere e dal troppo denaro. Forse si dovrebbe sviluppare un'operazione che privi completamente i politici della gestione delle ricchezze per costringerli a servire, per lasciare la cultura del potere e passare a quella del servizio. Ho sempre trovato scandalose le sfilate delle autorità, sapendo che più della metà dei congolesi vive come topi di fogna e che questi politici non sanno nemmeno quante persone vivano in Congo. In breve, servizio e non potere».
Sulle circostanze della morte dell’ambasciatore italiano, della sua guardia del corpo e dell’autista, cosa ti senti di aggiungere?
«Le autorità congolesi si sentono molto a loro agio quando si dichiarano incompetenti sui fatti. Tutto ciò che è stato detto dai funzionari, è andato nella direzione del “non sapevamo che fosse lì, non sapevamo che i ribelli fossero lì, non controlliamo la situazione”. Personalmente, sono cresciuto nel Kivu e sin dalla mia scuola materna c'è stata insicurezza in quei luoghi. I minerali che si trovano in quella regione, se le autorità congolesi fossero state responsabili, avrebbero oggi un ruolo strategico, invece la gente qui muore da quasi 30 anni e nessuno vede questo come un'emergenza prioritaria».