(Nella foto Reuters sopra: la presidente della Commissione Ue Ursula Von Der Leyen durante il discorso sullo stato dell'Unione al Parlamento europeo)
Di fronte alla pandemia del Coronavirus l’Europa si è riscoperta fragile, vulnerabile. Fragilità: una parola che Ursula Von Der Leyen, presidente della Commissione europea, ha scandito e ripetuto con forza nel suo primo discorso sullo stato dell’Unione davanti al Parlamento europeo, nel quale ha spiegato a grandi linee le prospettive per la ripartenza dell’Ue e per il prossimo futuro. “Parlare di Europa è divenuto parlare di crisi”, scrive Mario Di Ciommo, esperto di public affairs, nel suo libro Urgenza europea. Riscoprire l’idea di Europa, oltre le crisi, arrivato nelle librerie lo scorso giugno (Edizioni San Paolo). Una “crisi esistenziale”, che ha attraversato e continua ad attraversare l’intero processo storico-politico alla base della formazione dell’Unione, e di cui la pandemia è solo l’ultima, più recente - dirompente per le sue conseguenze - espressione. Prendere coscienza della fragilità è anche il punto di partenza dal quale risollevarsi e ricominciare, cogliendo dal problema un’oppprtunità.
Classe 1979, avvocato e dottore di ricerca in Diritto costituzionale europeo, con esperienze di lavoro in vari think-tank, come la Fondazione ASTRID, Mario Di Ciommo è attento osservatore delle dinamiche dell’Ue e, anche alla luce del suo ultimo saggio, riflette con Famiglia Cristiana sul discorso della Von Der Leyen e sul futuro dell’Europa.
Di Ciommo, partiamo dalla parola-chiave espressa dalla presidente della Commissione: fragilità.
«Oggi c’è una novità senza precedenti: la consapevolezza di essere in una condizione di fragilità. Si tratta di una novità politica e culturale di rilievo, potenzialmente straordinaria. Ciò che è a lungo mancato in precedenza è proprio la consapevolezza che eravamo piombati in una crisi esistenziale, essenzialmente politica. Ed è mancata perché prevaleva sempre la volontà politica di senso opposto - almeno a partire dal fallimento del trattato costituzionale del 2005 - di ridurre l’Unione europea a un mero progetto economico. Una scommessa che ci ha portato allo tsunami del 2007-2008. La cosa interessante da rilevare è che se è vero che la risi attuale è senza precedenti, è altrettanto vero che non è nuova. Prenderne coscienza politicamente è l’unico modo per uscirne. Di qui l’importanza principale del discorso della von der Leyen: c’è oggi una nuova coscienza politica della decisività dell’oggi per la sopravvivenza del progetto europeo d’integrazione».
Mario di Ciommo
Nel suo saggio, a proposito di pandemia, lei parla di egoismi e sovranismi sanitari che sono affiorati nei primi mesi della pandemia (quando sembrava che il problema fosse solo italiano e che non riguardasse il resto dl’Europa). La Von Der Leyen ha prospettato e auspicato la promozione di un’Europa sanitaria. Cosa ne pensa?
«Ciò che io personalmente ho sperimentato - stando a stretto contatto con persone di tutta Europa - è stata una difficoltà a capire che eravamo tutti legati da uno stesso destino. Ho toccato con mano la difficoltà di persone che come me vivono l’ambiente europeo e si dicono europeisti di comprendere - nella vicenda di un virus che non si ssrebbe arrestato ai confini italiani - il senso reale del comune destino. Noi italiani ci siamo sentiti feriti, ci siamo indignati perché ci siamo sentiti lasciati da soli. Ma dobbiamo stare attenti a non affibbiare etichette a quel comportamento degl altri europei: io ho visto nel concreto l’Europa che non conosce se stessa, ho sperimentato l’irrazionalità di fronte all’evidenza sanitaria e quindi storica, reale, che eravamo davanti a un problema e un destino comuni. Sicuramente c’è una componente di egoismo, ma ancora più di c’è alla base un’incomprensione. E’ stato uno shock importantissimo, dal punto di vista psicologico e culturale.
La von der Leyen ha parlato di “unità nell’avversità”, facendo eco al motto europeo “uniti nella diversità”: mi è parso un passaggio molto efficace. Credo invece che la proposta di un'Unione sanitaria sia ancora molto retorica. In certe decisioni e dichiarazioni vedo del populismo. Perché si può essere populisti anche volendo essere europeisti: il populismo è un modo di fare politica, non è una parte politica, una fazione. Inoltre, l’approccio della Von Der Leyen è funzionalista (tende a compiere un passo alla volta, andare avanti a piccoli passi, sulle base delle esigenze che si presentano). Ma oggi viviamo una crisi europea che è culturale, politica, economica, sociale e l’atteggiamento dei piccoli passi - che è poi quello di Angela Merkel - non può più andare bene».
Un tema cruciale per l’Europa di oggi: la questione dei migranti. La presidente della Commissione prospetta l’abolizione del regolamento di Dublino, il sistema che impone ai migranti di fermarsi ed essere identificati nel primo Paese di approdo - nella maggioranza dei casi Italia e Grecia - in attesa dell’approvazione o meno della loro richiesta di asilo. Come giudica questo cambiamento?
«Io trovo terribile tutto quello che sta succedendo con la questione dei migranti. Penso all’incendio di Lesbo e trovo inadeguata la risposta europea. Qual è il vero problema: sicuramente superare il regolamento di Dublino è una chiave. Però è anche vero che le soluzioni regolamentari seguono sempre una visione politica e una consapevolezza culturale. Quindi, va bene cambiare il regolamento, ma se cambia la visione politica che lo ha prodotto. Domandiamoci: in questa nuova Commissione europea il Mediterraneo è un tema importante? Io ho l’impressione di no. Chi sta contrastando nei mari la Turchia? Mi pare che solo la Francia si stia impegnando al fianco della Grecia. Ora, il mio timore è che nel discorso sullo stato dell’Unione ci siano stati tanti spot. Promettere di superare Dublino mi è sembrato uno spot. Un politico è credibile non tanto per ciò che promette, ma per ciò che fa o ha fatto. Io nel mio libro cito una visita della Von Der Leyen con David Sassoli, presidente del Parlamento Ue, in Grecia, nel corso della quale la presidente della Commissione ha ringraziato la Grecia che ci fa da scudo. Allora, che visione abbiamo degli immigrati e del Mediterraneo? Perché, invece di parlare di Dublino, non partiamo dall’idea dell’integrazione dei migranti? Questo va chiarito, prima di tutto. Penso che nel discorso all’Europarlamento ci siano stati molti passaggi retorici, da europeismo mainstream. Sarebbe fantastico se si superasse Dublino, ma ci sono i numeri? Non credo. Io vedo discontinuità nei temi storici dell’Unione - la politica economica, la politica fiscale, gli investimenti industriali -, ma non si intravede discontinuità nei temi “nuovi”, il rapporto con i cittadini (penso alla decisione di congelare la "Conferenza sul futuro dell'Europa"), la questione dei migranti».
Il libro di Mario Di Ciommo "Urgenza europea" (Edizioni San Paolo)
Come vede lo strumento del Recovery fund, o Next Generation EU, il fondo europeo di 750 miliardi di euro stanziato per la ripresa?
«Il Recovery Fund sulla carta è senza dubbio una scommessa storica. Ma ci sono molti punti interrogativi su quello che sarà il processo che porterà all’esborso effettivo delle risorse: in sintensi, ci sarà da Bruxelles un controllo di conformità tra riforme e investimenti varati a livello nazionale dai vari Paesi e i criteri fissati a livello europeo. Se questa coerenza viene a mancare, i soldi non arriveranno. In pratica, il Recovery Fund è una bellissima nave che ancora non è partita».
E la prospettiva di un’Unione bancaria, che auspica nel suo libro?
«Purtroppo non vedo alcuna evoluzione nel dibattito su questo tema, che è stato avanzato tanti anni fa. Come auspicio resta, ma senza concretezza e nessun impegno politico in questa direzione».
Quali sono secondo lei le parole-chiave sulle quali puntare nel prossimo futuro dell’Unione?
«Potrei dire solidarietà, ma questa parola può suonare come una strada a senso unico (l’idea del dare senza ricevere). E allora preferisco parlare di condivisione, che rimanda all’idea del rapporto biunivoco, nel senso che tutti diamo e tutti riceviamo, nella reciprocità. E poi aggiungo consapevolezza e cittadinanza. Mai come oggi i valori alla base dell’europeismo - dignità, solidarietà, uguaglianza, libertà - sono stati tanto anelati, non solo dai cittadini europei ma dal resto del mondo (pensiamo ai movimenti di protesta ad Hong Kong e in Bielorussia). E allora questo è il momento in cui si gioca davvero la partita dell’Europa».
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