È cattolico ma porgere evangelicamente l’altra guancia non sempre gli riesce. Qualche settimana fa, per esempio, ha risposto duramente all’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori, che nell’omelia per la festa del Santo patrono ha sottolineato i guai della città: cocaina, gioco d’azzardo e «un’improvvida voglia di trasgressione». Apriti cielo. Matteo Renzi non l’ha presa bene e per rispondere ha rispolverato un lessico d’altri tempi: «Nel linguaggio della Chiesa ruiniana», ha detto, «nella scuola della vecchia Conferenza episcopale italiana, un’omelia così dura ha un significato ultroneo, e lo rispetto. Ma dico che Firenze è diversa da come è stata rappresentata in questi giorni».
- Pentito di quella risposta, sindaco?
«No, lo rifarei domani».
- Ha accusato il cardinale di fare politica.
«Entrare nelle dinamiche politiche come ha fatto in questo caso il vescovo è una scelta che, da cattolico, non condivido. Risponde alla visione di una Chiesa che non mi piace, ma che da sindaco rispetto e di cui prendo atto. Ho grande stima del pastore di Firenze e della chiesa fiorentina per cui non mi metterò a fare polemica. Il vescovo è intervenuto due volte di fila, nel giro di pochi giorni, sul tema degli scandali, o presunti tali, che riguardavano la città in un momento delicato. Poi, nell’omelia del patrono, ha fatto affermazioni molto dure e sostanzialmente unidirezionali sulla situazione cittadina».
- Cosa le ha dato fastidio?
«Ripeto: io rispetto le opinioni di Betori, ho il dovere di ascoltare le sue parole, però ho anche il dovere di difendere la gente di Firenze e la città che non è quella che il vescovo ha descritto. Firenze è volontariato, associazionismo, bellezza, ricchezza. Sono valori che il vescovo, del tutto legittimamente, ha messo in secondo piano. Lui ha il diritto di dire la sua, io ho il diritto di replicare. Laicità non vuol dire che il vescovo parla e tutti gli devono dare ragione, anche se non sono d’accordo. Mi stupisco del fatto che ci si sia stupiti».
- Lei ha scritto che «i politici che si richiamano alla tradizione cattolica sono spesso propensi a porsi come custodi di una visione etica molto rigida». Che significa? La sua fede cristiana quanto conta, se conta, nel suo fare politica?
«La mia fede arricchisce tutto quello che faccio. Io credo nella Risurrezione, e dunque la prospettiva della mia vita è profondamente diversa. Da cattolico impegnato in politica non mi vergogno della mia appartenenza religiosa. Al contempo, non rispondo al mio vescovo o alla gerarchia religiosa ma ai cittadini che mi hanno eletto. Per me questa è la laicità: “Date a Cesare quel che è di Cesare”. Personalmente io mi indigno, anche un po’ troppo forse, quando trovo qualcuno che strumentalizza la fede per arrivare a una poltrona. Se io devo votare una persona non mi interessa se è ebreo, agnostico, o buddista ma se quello che propone per la mia comunità è buono oppure no. Poi con il cattolico vado a messa insieme, con il buddista ovviamente no. Rispetto ai temi etici e morali io sono desideroso di un confronto purché si abbia l’onestà intellettuale di non scivolare in un moralismo senza morale».
- Un politico cattolico quando va al governo è chiamato però non solo a dialogare ma anche a decidere su questi temi.
«È vero ma è anche il frutto della visione degli ultimi dieci anni dove sembra che tutto l’impegno dei cattolici in politica sia riconducibile soltanto ai temi etici. Quando dico che una certa politica all’interno delle gerarchie non ha fatto il bene della politica italiana mi riferisco all’atteggiamento avuto da una parte della Conferenza episcopale italiana che ha ridotto tutto il dibattito all'interno del mondo politico cattolico alle sole questioni etiche. Non si trovano più, ad esempio, le parrocchie dove si fanno scuole di formazione politica. Io ne avrei avuto bisogno ma purtroppo non l'ho avuto e mi dispiace tanto».
- Lei è d’accordo con la fecondazione assistita?
«Quando una coppia che non può avere figli ha la possibilità di ricorrere alla fecondazione assistita è giusto che lo faccia ma non deve trasformarsi in un diritto a tutti i costi. Se uno non ce la fa, deve prenderne atto. Bisogna riflettere sul limite, è qui il punto centrale. Io ho amici carissimi in parrocchia che hanno fatto ricorso alla fecondazione omologa perché non ce la facevano ad avere figli. So che per la Chiesa questo è tecnicamente un peccato, rispetto questa posizione ma capisco anche i miei amici che hanno fatto questa scelta né mi sentirei di giudicarli peccatori».
- Qual è la sua posizione sull’eutanasia?
«Sono stato molto colpito dalla vicenda Terry Schiavo in America. Se dovesse capitare a me vorrei che fossero i miei cari a decidere. In ogni caso, penso che su questi temi bisogna fare lo sforzo di ascoltarsi reciprocamente e non vivere verità assertive sapendo che la vita è il valore più grande. Non credo che il politico cattolico, in quanto cattolico, debba dire “sì, sì” e “no, no” ma su questi temi così complessi occorre fare lo sforzo del dialogo. C’è il rischio che i cristiani si “specializzino” in ciò che c’è all’inizio e ciò che c’è alla fine della vita e trascurino quello che c’è in mezzo, cioè la vita. E la vita è fatta di scelte culturali, lotta alla solitudine, desiderio di vivere da protagonisti. Ben vengano le discussioni dei politici cattolici sui temi etici ma non richiudiamo i politici cattolici soltanto nella riserva indiana dei temi etici altrimenti finiamo come i moralisti senza morale».
- Il reato di immigrazione clandestina va abolito?
«Assolutamente sì. L’immigrazione è uno dei temi sul quale esiste un grande divario tra la società e la politica. Mentre questa faceva la Bossi-Fini la società “produceva” invece Balotelli ed El Shaarawy come coppia d'attacco della Nazionale. Ciò vuol dire che generazioni di persone che si sono stabilizzate nel nostro Paese hanno dimostrato di essere radicalmente diverse dalle visioni ideologiche della Bossi-Fini e dal razzismo di certi leghisti come il senatore Calderoli. Lo dico perché sull’immigrazione si è giocato molto sulle fobie degli italiani, oggi vedo un clima profondamente diverso rispetto a prima, qualcosa sta cambiando».
- Quando annuncerà la sua discesa in campo?
«Vediamo se cambiano le regole un'altra volta e soprattutto se verrà rispettata la scadenza, prevista dallo Statuto, di fissare la data del congresso entro il 7 novembre. Comunque se ne parla a settembre, non prima».
- Il premier Letta ha fatto sapere che è stato informato del vostro incontro a Berlino da Angela Merkel al vertice europeo di fine giugno e non da lei.
«Non è assolutamente vero che Enrico non ne sapeva nulla, anzi è stato lui a suggerirmi di fare questo incontro. Mi ha invitato lui una sera a cena a casa sua i primi giorni di maggio per parlarne».
- Epifani ha detto che non ne sapeva nulla.
«Non vedo alcun motivo per cui il traghettatore del Pd debba sapere gli appuntamenti che ha il sindaco di Firenze. Il segretario di un partito non prende gli appuntamenti ma si occupa della linea politica. Epifani non deve preoccuparsi di me, deve preoccuparsi di fissare la data del congresso. L'unica data che gli interessa è questa».
- Ha mai pensato di lasciare il Pd?
«No. Come utilità personale mi avrebbe fatto molto più comodo andare via e fare un partito personale. Ma io non credo a questo modo di lavorare, di partiti politici personali in Italia ce ne sono già fin troppi. La vera sfida è avere due schieramenti, uno di destra e uno di sinistra, dove ci si confronta, anche duramente, ma sempre nel rispetto reciproco».
- C’è qualcuno che nel suo partito tifa perché sia la magistratura a togliere di mezzo Berlusconi?
«Sicuramente sì, ma non è questo il punto. Difficile immaginare quello che potrà accadere dopo il 30 luglio. Io mi limito a fare un passo indietro. Nel febbraio scorso il Pd aveva l'occasione per mandare in pensione Berlusconi e l’ha clamorosamente mancata».
- Perché?
«Questo va chiesto a Pier Luigi Bersani: ha fatto una campagna elettorale che è stata la migliore alleata del Cavaliere e gli ha consentito di tornare in auge. Io avrei preferito mandarlo a casa alle elezioni».