E' l'ora dei siciliani, anzi, dei palermitani. Nel giorno in cui l'Italia trova trova sulle poltrone delle due massime cariche dello Stato Sergio Mattarella e Pietro Grasso si riaffaccia a Montecitorio un altro siciliano, Sergio D'Antoni. D'Antoni, originario di Caltanissetta, è stato sindacalista (segretario generale della Cisl dal 1991 al 2000), consigliere regionale, parlamentare dell'Ulivo e del Pd, viceministro dello Sviluppo economico nel Governo Prodi fra il 2006 e il 2008.
Oggi, a 68 anni, D'Antoni è presidente del CONI Sicilia (“Sono sempre stato appassionato di sport, ho già avuto incarichi dirigenziali e sono grande amico di Giovanni Malagò, il presidente del CONI).
- D'Antoni, è venuto a festeggiare l'elezione di Mattarella?
“Sì, sono molto felice non solo perché lo conosco bene e conosco il suo valore. Sono felice perché so che Mattarella può far bene per l'Italia in un ruolo così delicato. Ha la preparazione, la profondità e la sensibilità per fare al meglio il presidente della Repubblica”.
- Da quanto tempo vi conoscete?
Conosco Sergio da circa 40 anni. Ci incontrammo verso il 1975 a Palermo, dove io mi ero trasferito a 14 anni per studiare. L'amicizia con Sergio nasce perché attorno a suo fratello Piersanti si creò un gruppo di impegno politico per gestire al meglio la Regione Sicilia che, come diceva Piersanti, doveva avere le carte in regola. Formammo un bel gruppo dove ciascuno si impegnava nel suo ruolo, io in quello di segretario regionale della Cisl siciliana, Sergio con un contributo di idee e di studio. Poi, il 6 gennaio del 1980, Piersanti viene ucciso dalla mafia e da quel momento per Sergio cambia tutto e comincia il suo impegno diretto in politica.
- Fu una sua decisione spontanea o lo incoraggiaste voi?
Lui sentiva di doversi impegnare per onorare la memoria del fratello. Noi lo incoraggiammo molto. La nostra preoccupazione era che venisse disperso quel patrimonio che avevamo formato negli anni. Al di là delle sue remore, lo spingemmo tutti verso la politica attiva. Così Sergio nel 1983 si candidò alle elezioni politiche e fu eletto in Parlamento. Era giugno. Un mese dopo anche io mi trasferivo a Roma perché entravo nella segreteria nazionale della Cisl, così il nostro rapporto è continuato a Roma.
Oggi davvero ho nel cuore una grande gioia perché l'elezione di Sergio al Quirinale è anche un grande riconoscimento per quella storia, quei valori e quella passione che abbiamo condiviso.
- Mattarella è molto schivo, ce lo descriva un po'.
Gli rimproverano delle cose che per me sono i suoi veri meriti.
- Ad esempio?
Dicono che è una figura un po' grigia, ma se esaminiamo i passaggi cruciali della sua carriera politica, Sergio ha sfoderato un coraggio formidabile. Ricordo le dimissioni da ministro per la legge Mammì, l'impegno nella guerra in Kosovo e l'abolizione della leva militare obbligatoria da ministro della Difesa, la capacità di tenere un rapporto costante dentro il partito e poi nell'alleanza che porta alla nascita del Pd. Sono tutte cose che una persona grigia non le fa.
- E allora perché glielo rinfacciano?
Perché spesso si confonde con il grigiore il suo riserbo. Sergio non è un uomo che si preoccupa della comunicazione. Siccome siamo ormai abituati al fatto che la politica è monopolizzata dai comunicatori, si pensa che se uno non ha quella bravura è grigio, ma non è così. Da Presidente della Repubblica Sergio comunicherà soprattutto con i fatti.
- Che effetto le fa vedere due siciliani come Mattarella e Grasso nel ruolo di massime cariche dello Stato?
Sono ovviamente contento, ma aggiungo una riflessione. Noto che quando si tratta di ruoli istituzionali, i meridionali, e in questo caso i siciliani, sono apprezzati fino a raggiungere le massime cariche dello stato. Non a caso anche Giorgio Napolitano è meridionale. Però questo riconoscimento non lo troviamo più nella politica attiva. Quando guardiamo la composizione del Governo e il tipo di politica che viene fatta, vediamo che il Sud è poco rappresentato e poco preso in considerazione.
- E come se lo spiega?
Forse perché la classe dirigente meridionale si preoccupa molto di più di farsi la guerra piuttosto che di fare battaglie vere per il bene comune.