“Vuoi fare l’inviato di guerra? Preparati allora a fare la guerra ai giornali italiani”. Lei è Barbara Schiavulli, la più nota inviata di guerra freelance italiana. Eppure, dice: “Non sono ancora riuscita a farmi pagare una nota-spese”. Romana, 40 anni, di cui 15 in giro per il mondo a inseguire i conflitti o
a farsi inseguire da loro. Quattro anni in Palestina, trenta volte in
Afghanistan, dieci in Irak, e poi Pakistan, Darfur, Malesia e ogni altro
posto “dove succeda qualcosa e vicino ai personaggi che lo fanno
succedere”.
Ospite al Laboratorio di Giornalismo Sociale della “Scuola Chiodi” di Mestre, la giornalista ha raccontato questi anni di professionismo vissuti pericolosamente, da quando In Irak s'è spacciata sordomuta per evitare di farsi riconoscere come occidentale, ai travestimenti a Baghdad da sunnita o sciita a seconda delle circostanze per non dare nell’occhio. Dall’attentato dinamitardo all’hotel Palestine a Baghdad in cui soggiornava, alle pesanti acconciature delle parrucchiere di Kabul a cui s’è sottoposta per capire come deve prepararsi una donna che si sposa in quella città.
Disagi? Ci scherza su: “Solo il dover viaggiare in pool con anziani inviati che ogni mezzora si fermano per urinare”. Ma il peggio è dover affrontare le battaglie quotidiane con i giornali italiani per farsi riconoscere il proprio lavoro, l’umiliante patteggiamento per un pugno di euro, “tanto c’è sempre qualcuno che chiede di meno”. Schiavulli mette il dito nella piaga: le cronache estere nell’informazione nostrana sono sempre più rare e malseguite la figura dell’inviato è in via d’estinzione. Vedere gli organici delle grandi testate nazionali, per credere! In tempi di crisi dell’editoria, un inviato è ritenuto un lusso; meglio e più produttivo, secondo questa scuola di pensiero, riempire di redattori il desk e accontentarsi delle corrispondenze d’agenzia. Ma il rischio è quello di non avere più “occhi” per guardare il mondo e “penne” per raccontarlo e di omologare sempre più l’informazione.
La morale della freelance è triste: “Volete fare gli inviati di guerra per un giornale italiano? Scordatevelo”. Ma se qualcuno le chiede perché continua a farlo, ammette: “Non conosco altro modo di fare questo mestiere”. E le valigie, accanto al letto, sono già pronte per il prossimo imbarco. Un'altra guerra e altre vittime sono lì che attendono di farsi raccontare, senza note spesa, né polizze assicurative. “Tanto, a parte rischiare la vita, che cosa ti può accadere laggiù di grave?”. Buon viaggio, Barbara.