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domenica 13 ottobre 2024
 
 

Messico, le frontiere dei disperati

28/04/2011  Padre Alejandro Solalinde ha 66 anni, di cui 35 vissuti come prete. Per la sua opera a favore dei migranti ha subito arresti, violenze, minacce di morte. Ecco il suo racconto.

«I migranti mi hanno cambiato la vita. Hanno cambiato la mia visione teologica. Gesù è dentro di loro. Sono loro i crocifissi di oggi. Vedendoli passare ho capito che la Chiesa dev’essere povera, pellegrina, aperta ai poveri, evangelizzatrice e non seduta in poltrona». A parlare è padre Alejandro Solalinde, prete cattolico messicano. Di recente è giunto in Italia per una serie di conferenze e incontri di sensibilizzazione sulla tragica realtà dei migranti che dai diversi Paesi del Centro America tentano di raggiungere la frontiera degli Stati Uniti, attraversando il Messico.

Il sacerdote opera a Ixtepec, nel Sud del Paese, ed è direttore del centro migranti “Hermanos en el Camino” (Fratelli in cammino). La visita in Italia del padre messicano è stata organizzata da Amnesty International, che ha anche pubblicato nell’aprile 2010 un rapporto sul fenomeno del quale riportiamo alcuni dati e cifre nella scheda collegata a quest'articolo, e dall’organizzazione nonn governativa “Brigate internazionali di pace” (Bpi), un'ong che promuove la risoluzione non violenta dei conflitti e lavora nel campo della didfesa dei diritti umani, con progetti in Messico, Guatemala, Nepal e Colombia.

Una delle principali attività delle Brigate di pace è l’accompagnamento fisico di attivisti e membri di organizzazioni che lavorano in zone di conflitto e repressione e che si trovano in pericolo a causa del loro lavoro a favore della giustizia e i diritti umani. I volontari di Bpi fanno una sorta di scorta non armata a chi ha subito minacce o è in pericolo. Padre Alejandro Solalinde è uno di loro. Per la sua opera a favore dei migranti ha subito arresti, intimidazioni, minacce di morte, violenze.

Ha 66 anni e 35 di sacerdozio, dei quali i primi 30 passati come pastore di una parrocchia: «Poi mi sono reso conto che potevo fare di più», racconta, «quindi ho deciso di lavorare con i migranti a tempo pieno. Nessuno se ne occupava. Il lavoro con  loro l’ho iniziato 5 anni fa. Il primo rifugio l’ho aperto 4 anni fa». Per “rifugio” il sacerdote intende un semplice e povero luogo di accoglienza dove portare i migranti, dar loro un pasto caldo e almeno una tettoia sotto la quale dormire. «Era necessario creare dei rifugi», sottolinea, «per il grande pericolo che correvano i migranti. Andavano in giro come pecore senza pastore. Quando ho cominciato a occuparmi di questo problema ho scoperto che bande di criminali, ma anche poliziotti e funzionari pubblici, mettevano in atto violenze, abusi, estorsioni nei loro confronti. E li sequestravano. I migranti sono giovani che vengono da Honduras, Guatemala, El Salvador e altri Paesi dell’America centrale».

Oggi l’organizzazione nata dall’iniziativa di padre Alejandro ha permesso di realizzare 52 rifugi. «Il lavoro umanitario svolto da Padre Solalinde è vitale, ma l’ambiente in cui lavora comporta forti rischi», spiega Lisa Maracani, che ha accompagnato il prete messicano nel tour in Italia. Anche lei è messicana ed è attivista delle Brigate internazionali di pace. «I migranti che passano per il rifugio di Padre Solalinde fuggono dalla miseria nel centro America attraversando il Messico a bordo di treni merci per cercare di raggiungere gli Stati Uniti. Questo flusso migratorio ha creato una grave situazione umanitaria. Oltre a dover affrontare un viaggio molto duro fisicamente, i migranti sono sistematicamente vittime di sequestri di massa, stupri, torture e tratta da parte del crimine organizzato messicano, a volte con la complicità delle forze dell’ordine».

Padre Solalinde non fa solo assistenza ai migranti – spiega ancora l’attivista di Bpi – ma denuncia pubblicamente i soprusi sofferti dai migranti da parte di criminali e uomini delle istituzioni. Inoltre porta avanti una campagna di sensibilizzazione e di pressione sul Governo messicano.

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