Padre Pino Puglisi fotografato insieme con un giovanissimo Cuttitta (con la camicia bianca).
Riproponiamo l'intervista di monsignor Carmelo Cuttitta, vescovo ausiliare di Palermo nominato vescovo di Ragusa, concessa a Ferdinanda Di Monte nel maggio 2013 in occasione della beatificazione di padre Pino Puglisi.
«Ho conosciuto padre Puglisi all’età
di otto anni, quando venne a Godrano,
nell’ottobre del 1970, dove
rimase fino al 1978», rievoca monsignor Carmelo
Cuttitta.«Ci ha affascinati tutti: ragazzi, giovani, adulti.
Godrano era un piccolo paese rurale ed
era la prima volta che vedevamo un sacerdote
senza talare, u parrìnu chi càvusi (un prete
con i pantaloni). Questa presenza così diversa,
il vederlo in mezzo alla strada, visitare la
gente, affettuoso e immediato con le persone,
mi colpì molto. Aveva, oltre all’immediatezza,
anche la capacità di coinvolgere».
– In che modo vi coinvolgeva?
«Riusciva a dare delle piccole responsabilità
persino ai bambini come me, nell’aprire e
nel chiudere la porta della chiesa oppure nel
curarsi dei bimbi più piccoli. Era la pedagogia
della partecipazione, del rendersi non solo
partecipi ma anche responsabili degli altri.
Ne è prova il fatto che lui sceglieva i catechisti
tra quelli appena più grandi che andavano
già in seconda, terza media, e con l’ausilio
di un adulto lo diventavano».
– Cosa le è rimasto più impresso di Puglisi?
«La scoperta di vedere il sacerdote in una
veste e in una luce diversa, non come persona
distaccata, ma vicina. Non solo fianco a
fianco, ma soprattutto una vicinanza fatta di
amicizia. Padre Pino riusciva a essere amico
degli adulti come amico dei bambini e noi
stessi ci affidavamo a lui. Ricordo, per esempio,
quando andava a celebrare in un paese
vicino, Campofelice di Fitalia, Villafrati, lui
chiedeva sempre di accompagnarlo e questo
consentiva a noi, di un piccolo paese, durante
il viaggio in macchina, di fare una nuova
esperienza e di arricchirci. Non solo, ma anche
di stabilire una relazione, una relazione
quasi alla pari, nel senso che sapeva mettersi
al livello dei piccoli, come dei giovani e degli
adulti. Don Pino andava anche a trovare gli
uomini che lavoravano in campagna e in alcuni
momenti dell’anno, il 1° maggio, andava
a celebrare la Messa insieme a loro. Un altro
aspetto molto bello è che lui ci ha dato la
possibilità di vedere gli stessi luoghi ordinari
in una luce diversa. Abbiamo scoperto i boschi
attorno a Godrano, abbiamo scoperto la
bellezza del creato».
– Quanto ha influito sulla sua scelta di entrare
in seminario?
«Credo che la mia vocazione sia maturata
proprio da questa mediazione umana. La vocazione
nasce dal Signore ma credo che padre
Pino, la sua figura di sacerdote, abbia inciso
molto nella mia vita. Avevo 16 anni e
parlai con lui di quanto iniziavo a percepire.
Se io non lo avessi incontrato e non lo avessi
avuto come parroco, forse la mia vocazione
non si sarebbe sviluppata. Credo che sia cresciuta
proprio guardando lui, che dedicava
tutto il suo tempo agli altri e che, soprattutto,
aveva questa dimensione di fede e di vita:
non solo come dono di Dio, ma la vita come
dono per gli altri».