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venerdì 16 maggio 2025
 
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«Io, lo scugnizzo delle 4 giornate di Napoli»

02/10/2023  A 13 anni è sulle barricate per l'insurrezione di popolo avvenuta tra il 27 e il 30 settembre 1943, durante la seconda guerra mondiale. “La forza di volontà, nonostante la guerra e le avversità della vita, mi hanno sempre accompagnato”

“Ero piccolo e tiravo pietre dalle barricate. Poi abbiamo scoperto dove i tedeschi avevano le armi, le abbiamo rubate e usate”. Sguardo vivo, mente lucida, Salvatore Sabella, un eroe che credevano morto, non dimentica le 4 giornate di Napoli. A 13 anni è sulle barricate per l'insurrezione di popolo avvenuta tra il 27 e il 30 settembre 1943, durante la seconda guerra mondiale. Scugnizzi, popolo e soldati, combattono in una Napoli tenuta sotto scacco dei soldati tedeschi della Wehrmacht in una delle ore più tragiche per l’Italia, offesa e ferita alla fine della guerra. La ribellione, fece meritare alla città la medaglia d'oro al valor militare permettendo alle forze Alleate un ingresso a Napoli sereno, poiché liberata dai tedeschi il primo ottobre 1943, un movimento popolare che ebbe tra i protagonisti ragazzini come Sabella.

Salvatore Sabella nasce a Napoli il 30 marzo del 1929. “Ero già grande a 10 anni quando badavo ai fratelli mentre papà non era a casa per lavoro”, racconta. “Mamma era infermiera del dottor Giuseppe Moscati, poi diventato santo, un medico che curava specialmente i piccoli pazienti”, sospira.

È ancora un bambino quando i tedeschi bloccano le truppe angloamericane nell’avanzata verso Napoli. Sbarcate sulla costa campana, dovevano risalire lo stivale per liberare la capitale occupata dalle truppe di Hitler. Dai quartieri e dai rioni di Napoli si corre neri vicoli organizzando la resistenza. ”Dicevamo: dobbiamo fare qualcosa, non possiamo aspettare”, ricorda Salvatore guardando al passato. È un’infanzia vissuta tra la povertà portata dalla guerra, la borsa nera e le esecuzioni, come quella con cui Nanni Loy fa iniziare il suo film girato nel 1962.

I ragazzi iniziano a rubare le armi e preparare la loro battaglia. “Facevano le molotov con la benzina degli autocarri”, spiega, volgendo quel nastro della memoria indelebile, nonostante gli anni. Salvatore, con un mitra, presidia via Foria e Porta san Gennaro, nel centro cittadino. I tedeschi lasciano Napoli, la città ritrova la libertà. A fine guerra gli occupanti se ne vanno, ma rimane la fame, e Salvatore si inventa cento mestieri. Da guida turistica ad aiutante scenografo in una Napoli che ritorna ai teatri, dal cabaret ai grandi autori partenopei dove si recita Scarpetta e Renato Carosone inizia a swingare in napoletano. Sabella fa l’assistente di scena e il tuttofare nei teatri dove conosce Totò, i fratelli De Filippo e Wanda Osiris.

Alla fine parte per la capitale, si arruola e fa il poliziotto a Roma dove conosce un soprano messicano, “e qui inizia un altro capitolo delle mia storia”, ammette Sabella. In Italia si perdono le sue tracce, ma varca l’Oceano perché nel 1950 ha conosciuto Lucila Dìaz, una cantante messicana, e scopre l’amore. La scelta è fatta: seguire la cantante in Messico per sposarsi con lei. E così nel 1954 lascia l’Italia a bordo dell’Andrea Gritti, una nave merci, imbarcazione superstite alla guerra

Lo ritroviamo in Messico quando tutti pensavano fosse morto: si è guadagnato una medaglia d’oro al valor civili e da anni è uno degli artefici della vita culturale di Monterrey, città dove ha fatto costruire il monumento all’Unità tra Italia e Messico.

Nel 1968 fonda la Dante Alighieri per la diffusione dell’italiano. La passione per la lirica si riversa nella promozione del bel canto. “Ho fatto ascoltare qui artisti come Di Stefano, Placido Domingo, Pavarotti e Muti”, sottolinea orgoglioso. Poi nel 2016 anche Napoli si ricorda di lui e così il sindaco Luigi De Magistris lo invita a ricevere la medaglia al merito di guerra in una commovente seduta civica. “La forza di volontà, nonostante la guerra e le avversità della vita, mi hanno sempre accompagnato”, commenta Salvatore, confidando che parte del suo cuore appartiene alla terra che l’ha accolto a braccia aperte, lui lo scugnizzo delle 4 Giornate, oggi ambasciatore della cultura italiana sotto un altro tricolore, ma con in mente sempre Napoli, la città per la quale nel ‘43 ha rischiato la pelle.

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