“Purtroppo nella mia carriera, come in quella di quasi ogni macchinista, c’ è un suicidio sui binari, o comunque uno o più incidenti mortali. Ora che ci si sono messi pure i “selfie estremi” sulle rotaie… E ogni volta si ripete immancabile lo shock. Ma, a differenza del passato, ora siamo molto più assistiti e aiutati a superare il trauma”.
A parlare è “Francesco”, macchinista di “lungo corso” di Trenitalia e conducente delle Frecce. A pochi giorni dal’ultimo incidente che è costato la vita a un ragazzo di Soverato che stava attraversando la sede ferroviaria per motivi non ancora accertati ed è stato travolto dal treno, il conducente di Trenitalia commenta amaramente la propria esperienza e non può che stigmatizzare questa “moda nefasta” che diventa a volte una specie di roulette russa: “Non è la prima volta che i giovani usano i binari per dimostrare sconsideratamente il proprio coraggio, spesso spinti ad emulare quanto già fatto da altri coetanei. Bravate di questo genere si facevano prima che si usasse il cellulare: ci si stendeva sulle rotaie mentre gli amici stavano a guardare. Ma adesso ci sta pure il selfie, che amplifica all’infinito il gesto. Ora, col cellulare, puoi mostrarlo a tutti. E’ quasi diventato una moda, per quanto assurda e insensata. Anche a me è capitato di vedere dal treno in corsa più d’un ragazzo occupare la sede ferroviaria per scattarsi il selfie”. E che il fenomeno sia preoccupante lo dimostra il fatto che la Polfer ha già organizzato in più regioni task force col compito di sorvegliare tratti di ferrovia “sensibili”.
La mente del macchinista corre agli impatti fatali che lo hanno visto parte in causa. Francesco è stato coinvolto in tre incidenti che hanno causato la morte di quattro persone. Tra cui due evidenti suicidi. “Capita più di quanto uno possa pensare. E ti segna per sempre”, rivela. “Il primo incidente mi capitò in una stazione vicino a Firenze quando travolsi due ubriachi che mi si pararono davanti all’improvviso”. Il treno è un mezzo che, anche a basse velocità, ha tempi di frenata lunghi e i macchinisti non possono evitare l’incidente se qualcuno si mette in mezzo. “Le possibilità d’evitare l’impatto sono ridotte al minimo, a volte sono nulle”.
Il primo incidente mortale gli capitò una brutta mattina di una decina d’anni fa, in stazione a Firenze, quando si trovò improvvisamente davanti due persone ubriache. Gli altri due investimenti accaddero a Milano e a Rovato, in prossimità delle stazioni. “Su tratti di linea in cui si corre ancora veloci: dai 100 ai 180 chilometri all’ora. L’ultimo è stato palesemente un suicidio”, precisa.
Secondo i dati della Polfer sono state 72 le vittime per investimento nel 2016, ma senza contare i suicidi che sono molti di più. “Quando accade un indicente mortale stai malissimo. L’agitazione e l’impatto emotivo sono devastanti. Sai che non si può far nulla, ma devi reagire allo shock, devi stare calmo perché hai la responsabilità di un convoglio e si deve gestire l’emergenza”.
Ma cosa accade in questi casi? “Abbiamo ovviamente delle procedure obbligatorie dettate dalla sicurezza ferroviaria. Anzitutto, uno del personale a bordo ha l’obbligo si andare a vedere. La prima cosa da fare è il ritrovamento del cadavere, spesso straziato orribilmente. C’è qualche mio collega macchinista che non è sceso dal locomotore. L’ultima volta che m’è capitato ,il capotreno non se l’è sentita. Poi arrivano la Protezione aziendale, la Polizia Ferroviaria, il 118 e il magistrato. Si deve redigere un primo rapporto informativo rispondendo alle domande della Polfer. Un secondo rapporto scritto dovrà essere inviato all’azienda. Ci soccorre uno psicologo che ci fa parlare. Ci aiuta a buttar fuori quanto teniamo dentro: la rabbia, la paura”, racconta Francesco.
“Non è facile poi risalire a bordo e portare il convoglio in stazione. Se non te la senti, comunque, puoi chiedere la sostituzione. A casa, poi, può subentrare la depressione. Proprio per questo, nella formazione tecnica in aula, un tutor e uno psicologo ci istruiscono in merito. E' un aiuto fondamentale”. In Germania, dove i suicidi gettandosi sotto il treno o la metro sono molto più frequenti che in Italia, la società ferroviaria tedesca “Deutsche Bahn” ha istituito un centro apposito per i macchinisti vittime da shock post-trauma e offre ai propri dipendenti un servizio di psico-educazione preventiva.
“Quando risali sui treni, specie i primi tempi, sei attentissimo a tutto quello che si muove vicino ai binari, a ogni persona che gira nelle vicinanze. Sei quasi ossessionato da quelle presenze, sapendo che basta il risucchio d’aria per tirare sotto il treno chi è troppo vicino”, aggiunge ancora il dipendente di Trenitalia, che conclude: “Possibile che la vita non valga uno sguardo più attento?”. O valga ancor meno di una foto?