Alessandra racconta la sua storia seduta davanti ai tre figli. Lei, 36 anni, occhi azzurri e la scritta tatuata appena sotto il collo «Amami per come sono», sorride sempre anche se ha un’ombra nello sguardo. Loro, Giovanni, 15 anni, Dario, 12, Michele, 10, ascolteranno in silenzio tutto il tempo, mai un sorriso, una reazione. Solo Giovanni, interpellato, dirà che la situazione «un pochino sì, mi pesa, ma la mia vita mi piace così».
Alessandra è tornata a Genova da un anno, dopo aver lasciato a Roma un compagno che aveva da 14 anni e da cui ha avuto i due figli più giovani. Giovanni, invece, è nato da una relazione precedente. La incontro nella sede di Fondazione L’Albero della Vita, zona Campasso a Sampierdarena, una stanza luminosa che si affaccia su un quartiere difficile. «Viviamo noi quattro insieme» racconta Alessandra e sottolinea, come farà molte volte, che lei è comunque «fortunata, davvero, perché ci sono tanti che stanno peggio di me». I suoi problemi li definisce «quelli di tutti: affitto e bollette da pagare, pranzo e cena da mettere in tavola, crescere i figli da mamma separata. Niente di speciale, ma quando non hai un lavoro è una situazione che ammazza», e sorride, con quell’ombra nello sguardo.
Si definisce un po’ zingara: «Mi piace Roma perché è accogliente. E Napoli, la città di origine della mia famiglia». Un padre che adora, una mamma “in gamba”, un fratello e una sorella. Non aggiunge un dettaglio in più, né dirà una parola sui due compagni o sulla sua casa, dove non ha voluto che entrassimo, e neppure mostrerà il volto alla fotografa. «No, non mi vergogno di essere in difficoltà. Se lo fossi, non sarei qui ora a raccontare la mia esperienza. Ma ognuno di noi ha la sua vita».
Vive di qualche lavoretto saltuario, «il papà dei miei figli mi aiuta e ho il Rei, il reddito di inclusione». È entrata in contatto con l’Albero della Vita «tramite un’assistente sociale. Ho trovato Giulia. “Sono senza lavoro e ho tre ragazzini”, le ho detto. “Allora diamoci da fare”, mi ha risposto». «Insieme abbiamo iniziato una ricerca sistematica di un lavoro», spiega Giulia Santamaria, coordinatrice del progetto “Varcare la soglia”. «Ora stiamo ragionando per far seguire i ragazzi nei compiti e nel tempo libero». Alessandra annuisce. «L’Albero della Vita mi ha aiutato a riflettere, a capire. Ho attraversato un momento duro, ora sono serena. E questo vuol dire tanto». Sorride di nuovo. Ora l’ombra nello sguardo non c’è.