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martedì 18 marzo 2025
 
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Io, tra la gente di don Peppe

23/05/2021  L’attore interpreta don Diana nella fiction, andata in onda domenica 23 maggio 2021 su Rai 1 alle 21.15, che è stata girata nei luoghi dove il sacerdote ha vissuto

Quando Alessandro Preziosi ha visitato la camera di don Peppe Diana, nella casa dove viveva con la famiglia, ha notato due cose: «Tutto era rimasto come vent’anni fa e i muri erano pieni di fotografie che testimoniavano la sua passione per i viaggi: non solo in luoghi di fede come Lourdes, ma anche nel Sudest asiatico. Di lui si diceva che viveva come guidava l’auto: con esuberanza. Per questo era una calamita per i giovani: aveva una vitalità irresistibile». L’attore è il protagonista della fiction Per amore del mio popolo - Don Diana, che racconta la storia del sacerdote ucciso dai Casalesi il 19 marzo del 1994.

Quando è andato a far visita ai familiari del sacerdote?
«Il giorno prima dell’inizio delle riprese. La madre e i fratelli sono sempre rimasti a Casal di Principe. Sono rimasti anche per difendere l’onore di don Peppe contro chi in questi anni ha tentato di infangarlo. Mi ha colpito la loro grande lucidità e dignità: dai loro racconti sembrava che don Diana fosse morto solo poche settimane prima, talmente precisi erano i loro ricordi. Per esempio, mi hanno raccontato che spesso la sera portava giovani che sapeva essere già compromessi con la camorra a mangiare con lui per evitare che andassero a compiere nuovi atti criminosi».

La fiction è stata girata nei luoghi dove don Diana ha vissuto. Com’è stata la reazione della gente?
«Entusiasta, tanto che molti hanno partecipato come comparse o comunque hanno seguito le riprese. C’è stato un episodio molto significativo per me. Dovevamo girare una scena fuori dal sagrato della chiesa di Frignano. Nei panni di don Peppe dovevo intimare al figlio di un camorrista di andarsene, perché terrorizzava la fidanzata che si era nascosta nell’oratorio. Doveva essere un dialogo molto controllato, intimo, ma quando ho visto tutta quella gente assiepata nella piazza, d’istinto mi sono messo a urlare con tutta la forza che avevo. Da quel giorno la mia recitazione è diventata più viva».

Don Diana era anche un tifoso sfegatato del Napoli. Nella fiction raccontate anche questo lato della sua vita?
«Proprio su questa passione c’è un episodio cruciale nel nostro racconto. Il figlio del camorrista accetta di andare con lui e alcuni scout a vedere una partita del Napoli. La squadra vince con due gol di Maradona e quest’esperienza di condivisione incide in maniera così profonda sull’animo del ragazzo da spingerlo a diventare anche lui uno scout».

Ha incontrato pure qualche vero scout di don Diana?
«Come no. Alcuni hanno partecipato alla fiction. Oggi fanno tutti parte di associazioni che combattono contro la camorra. Il loro impegno non è frutto di un senso di dovere: lo fanno come se fosse la cosa più naturale del mondo».

Lei è napoletano e quando don Diana morì aveva vent’anni. Ricorda quel giorno?
«No, ma ricordo che mi colpì molto il fatto che don Diana fu ucciso solo pochi mesi dopo un altro sacerdote, don Pino Puglisi. È vero, sono nato e cresciuto a Napoli, ma ho avuto la fortuna di vivere in un quartiere borghese, il Vomero, e di frequentare scuole molto “protette”. Al massimo, avrò assistito a qualche furto di motorino. Per cui l’omicidio di don Diana mi sembrava come la morte di Falcone e di Borsellino: li percepivo come degli eventi eccezionali, che accadevano lontano da me, anche se non era così. La consapevolezza mi è arrivata solo girando questa fiction».

Suo figlio Andrea di anni ne ha 18. Vedrà questa fiction?
«Sì, perché credo nella forza del messaggio di questo film: non aver paura, essere sempre coerenti con i propri valori, anche a costo di sbagliare e credere in qualcosa di più elevato rispetto alla vita di tutti i giorni».

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