Non lontano dal Palazzo del
Quirinale, a due passi da piazza
Venezia. L’Ordinariato militare
è nel cuore di Roma,
con affaccio sui Fori traianei.
Uno spettacolo che unisce insieme
la memoria e la bellezza.
Ma anche il silenzio e la
preghiera: quello delle suore, per esempio,
che nella chiesa principale dell’Ordinariato,
intitolata a Santa Caterina a
Magnanapoli e nella chiesa del Sudario
pregano per la pace con l’adorazione eucaristica
perpetua, fortemente voluta
da monsignor Santo Marcianò, da un
anno esatto nuovo ordinario militare
per l’Italia.
Monsignor Santo Marcianò tra i soldati italiani schierati in Kosovo. Foto: Ordinariato militare in Italia.
- Il Papa ha detto che «la guerra è follia». Come si conciliano armi e preghiera?
«L’omelia di papa Francesco a Redipuglia
ha scosso tutti, ha toccato i cuori,
ha rafforzato e ravvivato, nel mondo
militare, l’urgenza della pace. Il tema
della guerra, come quello della pace,
che sta tanto a cuore alla Chiesa, non si
può affrontare compiutamente senza riservare
un’adeguata attenzione al mondo
militare. Si tratta di una sfida difficile
ma anche di una sfida preziosissima,
in particolare per noi sacerdoti che a
questo mondo siamo inviati. Il beato
don Carlo Gnocchi, cappellano militare
durante la guerra, e al fianco degli alpini
anche nella campagna di Russia, sostiene
che esiste un’armonia tra il mondo
delle armi e il mondo dello spirito
perché la guerra, prima di essere un
problema di carattere economico o politico,
è un “disordine morale”; anche
papa Francesco nell’omelia ha chiarito
che, prima delle ideologie che muovono
le guerre, “c’è la passione, c’è l’impulso
distorto”. Il ricorso al mondo dello
spirito è essenziale per umanizzare
la persona, per educarla alla pace, evitando
che si fermi al livello del materialismo,
dell’edonismo, degli impulsi.
La guerra, come la pace, nasce nel cuore
dell’uomo».
Monsignor Santo Marcianò nel Sud del Libano con i militari italiani impegnati nella missione Onu al confine con Israele. Foto: Ordinariato militare in Italia.
- Qual è in questo senso la missione
dei cappellani?
«Il ministero dei cappellani rientra
specificamente in questa attenzione
all’uomo: è un servizio all’uomo centrato
sull’attenzione e la cura pastorale di
ogni militare e della sua famiglia. In
questo primo anno di ministero episcopale
tra i militari ho potuto rendermi
conto quale punto di riferimento essi
siano. La loro è una presenza di Chiesa
che, è bene precisarlo, non parte da una
proposta o da un’imposizione della
Chiesa, ma da una specifica richiesta
che il mondo militare, attraverso i suoi
responsabili e le autorità dello Stato italiano,
fa alla Chiesa. Questo fa capire come
la presenza dei cappellani tra le Forze
armate non sia formale e quante
aspettative, ma anche quanto spazio pastorale,
accompagni la loro missione. È
una missione a servizio dell’evangelizzazione,
centrata sull’annuncio della Parola
di Dio e la celebrazione dei sacramenti.
Ed è a servizio della comunione,
attenta a far crescere in ogni caserma,
in ogni unità, in ogni struttura, il senso
di comunità, essenziale anche in contesti,
come è quello militare, in cui si respira
l’importanza della gerarchia».
- Cosa pensa delle polemiche sugli stipendi? Parliamo di dati reali.
«Capita spesso che i mass media
diffondano notizie imprecise o false al
riguardo. Lo stipendio è elargito e calcolato
in base al servizio reso allo Stato,
così come avviene, per esempio, per gli
insegnanti di religione nelle scuole, per
i docenti universitari presso istituti statali
o privati, per i sacerdoti e i religiosi
che svolgono attività sanitarie o professioni
di altro genere... A titolo esplicativo,
basta dire che i 166 cappellani militari
italiani ricevono stipendi diversi.
Quello di base si aggira attorno ai 1.500
euro. Stesso discorso vale per la pensione
alla quale, secondo le leggi, accede
esclusivamente chi ne matura le condizioni,
in termini di anni di servizio e di
qualità di servizio. Dunque, non esistono
– anche questo va precisato con chiarezza
– pensioni privilegiate. Infine, visitando
i cappellani e conoscendo meglio
il loro operato tra i militari, vedo
quante volte essi si impegnino a sostenere
personalmente, grazie anche al
proprio stipendio, situazioni familiari e
personali di crisi economica e di vera e
propria indigenza che, come in ogni parrocchia,
non mancano neppure nelle
nostre comunità militari, offrendo così
una forte e bella testimonianza evangelica
che tutti i cristiani dovrebbero sentirsi
motivati a dare».
Monsignor Santo Marcianò nel Sud del Libano con i militari italiani impegnati nella missione Onu al confine con Israele. Foto: Ordinariato militare in Italia.
- Non sareste più liberi senza “stellette”?
«Dall’esterno potrebbe sembrare di
sì. Ma, come in ogni campo, anche la
realtà militare può essere capita bene
solo “dal di dentro”. Le “stellette”, per
un cappellano militare, non sono inutili
o pericolose: sono semplicemente
espressione di quel senso di appartenenza
che in questo mondo è molto
marcato. A me piace spiegarle come segno
di condivisione. E la condivisione è
essenziale per capire l’opera dei cappellani;
è quasi una metodologia con cui
viene portata avanti la missione. Il beato
don Carlo Gnocchi, cappellano militare
durante la guerra, e al fianco degli
alpini anche nella campagna di Russia,
proprio desiderando condividere, essere
laddove erano “i suoi ragazzi”, volle
raggiungere il fronte. E anche se oggi,
nella nostra nazione, la situazione storica
non è quella di allora, i cappellani rimangono
accanto ai militari condividendo
la quotidianità dei loro compiti
a difesa dei cittadini in Italia e delle missioni
internazionali in cui i nostri contingenti
sono impegnati. Tuttavia bisogna
considerare che le stellette sono poste
su una talare: Giovanni XXIII, anch’egli
soldato e poi cappellano durante
la Prima guerra mondiale, da Papa,
esortava i cappellani militari a non dimenticare
che erano prima di tutto preti
e che solo dall’essere preti poteva derivare
l’efficacia e la fecondità della loro
missione»
Monsignor Santo Marcianò con papa Francesco durante l'udienza concessa ai Carabinieri. Foto: Ordinariato militare in Italia,
- Quale lo spazio della preghiera?
«Una vera “pastorale della pace” inizia
dalla preghiera e dalla riscoperta della
Parola di Dio. Per questo, ho proposto
ai cappellani di far partire, tra i militari,
itinerari di catechesi e incontri di lectio
divina su brani biblici che affrontino il
tema della pace. La Chiesa, anche nelle
opere di pace, cresce grazie alla docilità
allo Spirito, al discernimento della volontà
di Dio che parte dall’ascolto della
Sua Parola. Così, siamo certi che il cammino
della pace, che ai cappellani militari
e ai militari stessi è in modo particolare
affidato, troverà sempre nuovi sentieri
perché la pace possa essere il futuro,
anche “il futuro della guerra”».