La pressione alta non è una malattia
ma un “fattore di rischio” che, pur
non provocando sintomi, favorisce
l’insorgere di malattie del cuore e
dei vasi sanguigni, tra queste l’infarto.
Si combatte prendendo sempre le
medicine suggerite dal medico di fi ducia,
specie tra 40 e 60 anni, l’età in cui
un trattamento ben seguito può migliorare
la qualità di vita futura.
Negli anziani
valori fi no a 90 e 150 fanno meno paura.
Tutti dovremmo misurare la pressione
periodicamente, anche se ci sentiamo
sani e siamo sportivi: non si può predire
quando le cose cambiano. Per abbassare
di qualche punto i livelli sono utili pure
stili di vita sani, meno stress e una dieta
con poco sale.
A una pillola in più per la pressione si
può rinunciare, se ce ne sono tante altre
da prendere. Le ultime linee guida dell’American
college of cardioloy fanno tirare
un sospiro di sollievo a molti anziani.
D’accordo, le pastiglie vanno sempre
prese, ma fino a 150 di massima i valori
sono accettabili e in grado di ridurre
molto il rischio di complicazioni al cuore.
Se poi l’età è avanzata, a 160 millimetri
di mercurio la pressione si deve ritenere
sotto controllo. Medico di famiglia
esperto del tema, Damiano Parretti sottolinea
che anche le Linee guida europee
sul management dell’ipertensione, oltre
a quelle Usa, suggeriscono di trattare più
“dolcemente” gli anziani. «Dopo i 75-80
anni, pur restando sorvegliata speciale,
la pressione non va buttata troppo giù.
Mantenersi a 150 di massima basta a ridurre
la probabilità d’infarti, scompenso,
angina, il dolore oppressivo che rivela
l’intasamento di un’arteria all’altezza del
cuore. Solo in quel caso troppe medicine
possono dare più rischi che benefici:
ad esempio, se l’anziano si mette all’improvviso
in piedi la pressione si può abbassare
di colpo (si chiama ipotensione
ortostatica) e può causare cadute, danni
se le ossa sono fragili. In ogni caso, i 90 di
pressione minima e 140 di massima non
vanno oltrepassati nelle fasce d’età più
giovani».
Negli adulti e nei giovani
Di pressione alta soffre un adulto su quattro,
e con l’aumentare dell’età la proporzione
sale: a 65-70 anni è iperteso un soggetto
su due. L’ipertensione va scoperta e
trattata dal medico: «Ma proprio perché
è così diff usa se intasassimo gli ospedali
e gli ambulatori specialistici la spesa sanitaria
e il disagio per i cittadini non finirebbero più. D’ipertensione si deve
occupare il medico di famiglia, almeno
finché non c’è danno organico», dice Parretti.
«Nel 90 per cento dei casi l’ipertensione
è “essenziale”: in età adulta, cioè,
per motivi ereditari, le arterie si irrigidiscono
(vedi box); dopo i 40 anni, persone
con uno o entrambi i genitori ipertesi
iniziano a presentare valori più alti. Ma ci
sono giovani con valori anomali e vanno
seguiti in modo particolare – dice Parretti
– prima un’ipertensione arriva e più è
aggressiva e può provocare danni al cuore
e ai vasi. Se la pressione è troppo alta,
a discrezione del medico, le pastiglie le
devono prendere anche i giovani. Ma le
medicine non sono la sola cura. Bisogna
cambiare gli stili di vita
Imparare a vivere meglio
«La prima cosa è ridurre l’apporto giornaliero
di sale», dice Parretti. «Nella persona
ipertesa non si dovrebbero superare
i 5-6 grammi al giorno così da ridurre i
valori di pressione arteriosa da 2 a 8 millimetri
di mercurio. In media noi italiani
assumiamo anche il triplo di sale. Un
consiglio? Verdure e pesce fresco sono da
preferire a carni e insaccati».
Una dieta povera di sale e grassi «può
ritardare l’esordio dell’ipertensione. Meglio
poi organizzarsi la vita in modo non
troppo stressante. Per le nostre arterie,
l’attività fi sica da prediligere è “aerobica”:
anche corsa, bici, nuoto 30-45 minuti
almeno 3-4 volte a settimana ritardano
la comparsa della pressione alta. Questa
stessa attività è consigliabile anche quando
l’ipertensione è arrivata. Certo, se il
paziente ha 200 di massima va prima sistemato,
e poi indirizzato ad attività benefi
che per il cuore. Chi non ha danno d’organo
può anche fare la partita di tennis».
I fattori di rischio
Combinati con l’ipertensione, altri fattori
aumentano il rischio che interessa
l’apparato cardiocircolatorio. I grassi nel
sangue – trigliceridi e soprattutto colesterolo
– si attaccano alle pareti e creano
voluminose placche che le restringono
contribuendo a irrigidirle fi no a causare
il blocco della circolazione. Il famigerato
fumo di sigaretta può provocare lo stesso
danno, accelerando gli eff etti già deleteri
dell’ipertensione essenziale. «Se una persona
ha pressione alta e colesterolo alto
il rischio di un infarto aumenta in modo
brusco». Il diabete è in assoluto il rischio
più grosso, correlato com’è a un irrigidimento
delle pareti interne dei vasi. Inoltre,
l’alterazione della secrezione di insulina
(l’ormone che combatte lo zucchero
nel sangue), favorisce lo sviluppo della
placca che restringe il lume delle arterie.
«Il paziente con diabete e ipertensione
va trattato di più, in particolare», aff erma
Parretti, «deve avere meno colesterolo
degli altri. Con specifi che medicine, le
statine, ci prefi ggiamo di abbattere il colesterolo
a livelli pari a quelli suggeriti a
pazienti che hanno avuto l’infarto, almeno
sotto i 100 milligrammi per decilitro,
e in certi casi anche sotto i 70 milligrammi/
decilitro».
Le terapie
In 60 anni di ricerca, gli scienziati sono
arrivati a inventare sei principali famiglie
di farmaci anti-ipertensione. «A queste
famiglie chiediamo di rendere più elastiche
le arterie. Ciascuna ha un suo meccanismo
d’azione e il medico di fi ducia
può indirizzare il paziente al farmaco più
effi cace. Le cure non vanno mai abbandonate.
Il 70 per cento dei pazienti ipertesi
necessita perlomeno di due farmaci
diversi e di alcuni controlli periodici. «È
molto importante tornare ai valori normali
e poco importa se non c’erano sintomi:
quando rileviamo questi ultimi», sottolinea
Parretti, «la pressione ha già fatto
danni».
Il cardiologo (o il medico del Centro
ipertensione) può essere interessato quando non ci sono sintomi per valutare
se ci sono danni; ma deve essere interessato
nella fase del danno d’organo, perché
molto può fare quando il cuore o i reni
sono in difficoltà. Proprio per evitare
preoccupazioni nel “dopo”, al paziente
che si sente giovane e non ama l’idea di
curarsi per tutta la vita, bisogna spiegare
che le cose andranno meglio rispettando
le prescrizioni del medico di famiglia.
«Se dico “curati o ti viene l’ictus” non
sempre offro un messaggio efficace, i
messaggi migliori sono quelli positivi:
“con i farmaci conserverai la capacità di
fare esercizio sportivo, perché i tuoi organi
si manterranno più giovani senza andare
incontro a complicazioni”. È la verità:
curarsi, oltre che vivere di più, vuol
dire più qualità di vita»