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Ippolito Desideri: il missionario che svelò il Tibet all’occidente

16/11/2017  Come il ben più noto Matteo Ricci in Cina, il gesuita toscano fu il primo a esplorare le terre più alte del mondo e studiarne la cultura. Con il sogno di portarvi il Vangelo

Di padre Ippolito Desideri non è stato tramandato fino ai giorni nostri neppure un ritratto. Eppure le sue imprese sono degne d’entrare nella storia delle esplorazioni e delle missioni. Il gesuita toscano fu infatti il primo occidentale a giungere in Tibet e il primo esploratore di quelle terre allora quasi inaccessibili. Ne studiò la geografia e osservò da vicino gli usi e i costumi delle popolazioni locali, riportando in patria le prime conoscenze sul buddhismo lamaista e sulle lingue delle terre più alte del mondo.

Mosso dalla curiosità e dal desiderio di conoscenza come Marco Polo e Cristoforo Colombo, ma anche dall’ardore della propria missione apostolica, Ippolito Desideri partì con un confratello alla scoperta di quelle terre nel settembre 1712. Il viaggio fu avventuroso: tappe a Genova e Lisbona, traversata degli oceani Atlantico e Indiano alla ricerca di correnti favorevoli e, infine, sbarco in India a Goa. Di lì padre Ippolito iniziò la sua esplorazione fra Himalaya e Karakorum e il 18 marzo 1716 giunse fino a Lhasa, il cuore religioso del Tibet.

L’epopea di Desideri si può rivivere in queste settimane grazie a una mostra – dal titolo La rivelazione del Tibet. Ippolito Desideri e l’esplorazione scientifica italiana nelle terre più vicine al cielo – che gli ha dedicato Pistoia, la sua città natale. Enzo Bargiacchi, uno dei curatori della mostra e massimo conoscitore del missionario gesuita, racconta che Desideri, incontrando la cultura tibetana, «era rimasto sorpreso per la tolleranza nei confronti delle altre religioni: lì i mercanti musulmani avevano la loro moschea e anche lui e il suo confratello erano stati ben accolti e poterono liberamente presentare la loro religione». Bargiacchi racconta che il missionario, guadagnatosi la fiducia delle autorità locali (esattamente come un secolo prima il confratello gesuita Matteo Ricci in Cina, che vestiva abiti locali e parlava mandarino), «espose con estrema sincerità il suo proposito missionario». Richiesto di illustrare la sua religione e la differenza con la loro, «il “lama venuto dall’Occidente” si impegnò subito nello studio della lingua, della cultura e della religione tibetana per poter presentare con efficacia la fede cristiana». Il frutto del suo studio fu un’opera, scritta in versi tibetani, di dialogo tra «il padre cristiano che spiega la religione pura e vera e l’uomo dotto che cerca la pura verità».

PIONIERE DEL DIALOGO

La presentazione avvenne solennemente nella sala del trono di Lhasa il 6 gennaio del 1717 davanti a Lhabzang Khan, sovrano del Tibet.  Desideri fu invitato ad approfondire ulteriormente i suoi studi, in vista di una disputa con le autorità religiose del luogo per confrontare il valore delle diverse concezioni. Ma il progetto non andò in porto perché il missionario fu presto testimone dell’invasione del regno tibetano da parte dei mongoli dzungari, conclusa con l’uccisione del re e il ristabilimento del dominio cinese nel 1720.

A quel punto l’esperienza tibetana di Desideri stava mestamente giungendo a conclusione. A Roma, infatti, i frati Cappuccini erano riusciti a convincere la Congregazione di Propaganda fide a togliere ai Gesuiti la missione in quelle terre e ad affidarla ai Francescani. Probabilmente pesò a suo sfavore la propensione della Compagnia di Gesù a cercare la mediazione con le culture locali: il metodo dell’inculturazione. Il missionario pistoiese fu così richiamato in patria nel dicembre del 1721 e rientrò in Europa nel 1727. Morì a Roma nel 1733 dopo inutili sforzi per ottenere il permesso di tornare in Tibet.

Il Dalai Lama, guida spirituale del buddhismo lamaista, riconoscendo il rispetto con cui Desideri descrive la cultura tibetana, ha definito il gesuita «pioniere del dialogo interreligioso».

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