Un'immagine dell'"orfanotrofio degli orrori". In copertina Catherine Corless, l'autrice dell'indagine che ha portato alla scoperta di quanto avveniva fra le mura di St. Mary.
“Ho provato tanta tristezza e anche angoscia all’idea che un vecchio sistema di fogne del periodo vittoriano fosse stato usato per seppellire quei bambini. La scoperta la diceva lunga sul modo in cui erano stati trattati nell’orfanatrofio, sempre affamati, benchè le suore avessero cibo in abbondanza, e quasi abbandonati, quando si ammalavano, anche se in quell’ordine c’erano molte infermiere”. Catherine Corless, la studiosa diventata famosa per aver denunciato gli abusi della “Casa di st. Mary per mamme e bambini” di Tuam, contea di Galway, centro d’Irlanda, è arrivata quasi per caso alla scoperta che ha fatto il giro del mondo.
“Ho cominciato la mia ricerca, cinque anni fa, per un articolo che sarebbe stato pubblicato sulla rivista annuale di storia locale. Volevo spiegare com’era nata questa istituzione, pensata per le ragazze madri e i loro figli, e parlare anche dell’ordine che la gestiva, le suore del 'Bon Secours'”, racconta Corless, sulla sessantina, che ricorda quella grande casa, chiusa da mura altissime, con in cima vetri rotti e isolata dal resto del paese. Quei piccoli maltrattati e denutriti sono parte dei suoi ricordi d’infanzia perché i bambini andavano a scuola con lei anche se le maestre li tenevano separati dagli altri scolari e li trattavano come se avessero fatto qualcosa di male.
Catherine ricorda le prediche con le quali, dal pulpito, il sacerdote condannava le ragazze madri come peccatrici e diceva che dovevano espiare il male commesso. “Certo il sacerdote incoraggiava i genitori a mandare via di casa le figlie e a isolarle nella 'St. Mary house' dove, nel periodo precedente il parto, le future mamme venivano trattate malissimo e assistite soltanto da un’altra mamma. Ostetriche e dottori intervenivano soltanto nel caso di gravi complicazioni”, continua Catherine Corless, “I maltrattamenti continuavano anche dopo che era nato il bambino perché le madri dovevano lavorare duramente e, benchè alle suore non mancasse il cibo, grazie alla frutta e alla verdura dell’orto e ai maiali e ai polli del cortile, ai piccoli non veniva dato abbastanza da mangiare e soprattutto non consumavano mai carne. Insomma erano trascurati e trattati con grande durezza”.
“Nessuno sapeva quello che capitava dentro quelle altissime mure. Le suore venivano pagate individualmente dallo stato per ciascuna mamma e bambino che accoglievano e per gestire quella casa e ricevevano anche ampi finanziamenti. Non era una charity ma non davano lavoro a nessuno della città perché potevano contare sulle madri che si fermavano per un anno prima di andare in Inghilterra in cerca di un impiego dopo aver dato in adozione il bambino. Non mancavano soldi e appena la struttura aveva bisogno di lavori di riparazione il comune interveniva finanziandoli”, continua la storica.
E’ stata l’assenza dei resti dei piccoli ad allarmare la Corless. “Benchè fossi riuscita ad ottenere le copie dei certificati di morte di tutti e 796 i bambini, che erano stati depositati presso il comune, di loro non esisteva traccia in nessun cimitero. Insomma erano spariti”, dice la storica,“In Irlanda, da sempre, i corpi vengono sepolti in cimiteri, in terra consacrata e ogni custode ha un registro con tutti i nomi e il luogo nel quale sono stati sepolti ma dei piccoli della “st. Mary home” non c’era traccia in nessun cimitero della zona. I cadaverini di neonati e bambini molto piccoli, alcuni dei quali vissuti appena pochi minuti, erano stati messi dalle suore nelle gallerie di una vecchia fognatura del periodo vittoriano sulla quale, nel 1840, era stato costruito l’orfanatrofio. Questi tunnel hanno nascosto per anni gli orrori commessi in quell’orfanatrofio”.
“Non vi furono mai omicidi in quell’orfanatrofio ma il tasso di mortalità dentro la “st. Mary home” era cinque volte più alto rispetto al resto della popolazione e il motivo era che i bambini non venivano curati quando si ammalavano benchè le suore fossero infermiere. Lo si capisce anche dalle cause di morte scritte sui certificati. Alcuni piccoli morivano per ascessi, mal di gola o gastrointerite, disturbi che è possibile combattere con igiene adeguata o separando i bambini. La “st.Mary’s home” era molto grande e c’era spazio per isolare i piccoli così che non contagiassero altri, invece le condizioni di affollamento li facevano morire come mosche”, conclude la Corless.
Un mese fa gli scavi condotti dalla commissione avviata dal governo irlandese per investigare che cosa si trovava nell’area che era stata occupata dalla “st. Mary home” ha trovato resti di piccoli scheletri di neonati e di bambini di qualche anno confermando i risultati della ricerca fatta da Catherine Corless.
E la ricercatrice scrive, oggi, un nuovo capitolo di questa storia fatto dei sopravvissuti alla “st.Mary home” che vogliono ritrovare i resti ancora nella fognatura e dando degna sepoltura.
“Non sappiamo ancora quanti scheletri rimangano in quella fognatura e in che condizioni siano”, spiega Catherine Corless, “E se alcuni di essi si trovino in altre parti di quella struttura. Sono in contatto con molti di quei bambini, oggi adulti, e, per loro, onorare la memoria di chi è ancora sepolto là sotto è molto importante”.