Armando Spataro, 66 anni, è il Procuratore della Repubblica di Torino. Ha guidato il pool antiterrorismo della Procura di Milano.
Succederà? E se sì, quando? Dove? Armando Spataro, 66 anni, dal 30 giugno 2014 dirige la Procura della Repubblica di Torino dopo esser stato a lungo Procuratore aggiunto a Milano, dove s'è occupato di terrorismo internazionale, in particolar modo di quello a matrice islamica. Un esperto, insomma. «Inutile negare la paura», spiega, «importante è però ricondurla a ragione. Non apprezzo affatto, dunque, annunci che, a scopo autopromozionale, talvolta provengono da chi ha responsabilità istituzionali e finiscono per far crescere nei cittadini insicurezza e richieste di risposte forti, non compatibili con i valori delle nostre democrazie».
- Ai suoi cari e ai suoi amici sconsiglierebbe di prendere la metro a Roma? O di andare al cinema, a teatro, al ristorante?
«Direi a chiunque di fare la propria vita normale e ciò non per incoscienza ma perché se ci lasciassimo condizionare perfino nel privato finiremmo con il darla vinta ai terroristi. Il che non significa non adottare prudenze minime. Mi piace viaggiare in terre lontane, ma è chiaro che in questo periodo eviterei certe regioni a rischio».
- L'ultima operazione antiterrorismo ha portato il 12 novembre a 17 arresti, dentro e fuori Italia. Ritiene ci siano ancora tante cellule sparse nel nostro territorio?
«Da tecnico e investigatore rispondo che chiunque provasse a contare terroristi e sospetti tali presenti in Italia, magari dividendoli pure per aree geografiche, sbaglierebbe clamorosamente».
A Roma, a Milano e nelle altre città italiane sono stati aumentati i controlli e le misure di sicurezza. Foto dell'agenzia Ansa.
- Lampedusa è una porta d'ingresso?
«Ho sempre sostenuto che non c’è prova, sin qui, della scelta dei
terroristi di arrivare in Italia nei barconi carichi di disperati, mossi
dalla sola speranza di trovare condizioni di vita dignitose. Anche nel
considerare questi rischi dobbiamo essere razionali ed evitare di
generare nei cittadini, da un lato, insicurezza e dall’altro indegne
pulsioni xenofobe. Lo dico anche se risultasse che uno o più immigrati
irregolari sono terroristi: la responsabilità di pochi non può mai
essere trasferita sulle spalle di tutti. Il nostro Paese deve piuttosto
investire con fiducia nel dialogo con le comunità islamiche, a ogni
livello».
- Dal suo lavoro d'indagine emergono contatti tra terrorismo di matrice islamica e criminalità nostrana?
«Assolutamente no, non potendosi considerare significativo, a tal fine,
l’accertato coinvolgimento di gruppi terroristici in Italia in attività
come la compravendita di banconote false, le estorsioni e traffici di
stupefacenti» .
- Problemi di lingua, problemi di cultura: intelligence e forze
dell'ordine riescono a suo avviso a monitorare a fondo il variegato
mondo islamico?
«Penso proprio di sì, nei termini in cui la legge lo consente. I
problemi sono altri: da un lato occorre sinergia di forze in campo
affidando alle Agenzie di informazione, come il sistema italiano
prevede, la sola importante attività di prevenzione, ma riservando le
indagini sui reati a polizia giudiziaria e magistratura, così evitando
nocive confusioni e sovrapposizioni. Ma, dall’altro, occorre rendere
efficace ed immediata la collaborazione internazionale : l’assistenza
giudiziaria e il coordinamento, infatti, non sempre funzionano.
Occorre passare dalle declamazioni alle prassi virtuose. E per far
questo non vi è bisogno di nuove leggi e convenzioni ma solo di buona
volontà».