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giovedì 19 settembre 2024
 
Guerra a Gaza
 

Israele-Palestina, che fare dopo il fallimento della mediazione Usa

20/07/2014  E adesso, come uscirne? Parlano un esponente israeliano e palestinese. Spiegano perché il segretario di Stato americano Kerry era partito col piede sbagliato. E da dove ricominciare.

Shaul Arieli.
Shaul Arieli.

La crisi esplosa nuovamente tra Israele e Palestina, al di là dei fattori contingenti, è diretta conseguenza del fallimento di nove mesi di trattative sotto l'ala del segretario di stato americano John Kerry. L'emergenza in atto oscura l'analisi, che tuttavia è necessaria per poter – si spera il prima possibile – sedersi di nuovo attorno a un tavolo.

Abbiamo ascoltato in merito due autorevoli esponenti dei due schieramenti, invitati in Italia dal Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (Cipmo). Per entrambi, le trattative sotto l'egida di Kerry sono partite male. E nessuno dei due si stupisce del fallimento. Loro, l'israeliano Shaul Arieli e il palestinese Sufyan Abu Zayda, sono due personaggi di spicco: il primo, ex colonnello dell'esercito, poi in ruoli chiave dell'amministrazione israeliana, esperto di confini e del muro di separazione, tra i promotori dell'iniziativa di Ginevra, si dedica oggi alla ricerca di soluzioni politiche ma anche a educare i suoi connazionali spiegando loro storia e termini del conflitto; il secondo, docente universitario ed ex ministro del governo palestinese, oggi continua il lavoro di mediazione.

Spiega Shaul Arieli: «Il grosso errore degli Stati Uniti è stato quello di non porre sul tavolo chiari parametri di partenza per le trattative. Date le resistenze di Israele, gli Usa hanno accettato di parlare di tutto, ma ciò diventa improduttivo: per costruire ponti – specie in una situazione così difficile – servono fondamenta chiare da entrambi i lati».

Sufyan Abu Zayda.
Sufyan Abu Zayda.

Gli fa eco Abu Zayda: «È stato un errore accettare di trattare mentre Israele continua a costruire nuove colonie nei Territori Occupati, in spregio a tutto e tutti. Ogni volta che i mediatori americani e Kerry in persona arrivavano per trattare, venivano accolti dall'annuncio di nuove costruzioni. Ciò significa che Israele non riconosce il ruolo Usa».

Entrambi concordano sul fatto che il vero problema tra quelli posti sul tappeto risieda proprio nella costruzione degli insediamenti illegali e che per questo la trattativa sia fallita, più che per il mancato rilascio dell'ultima trance di prigionieri palestinesi o per l'avvio della riconciliazione tra Fatah e Hamas.

Ma mentre Abu Zayda si dice pessimista, Shaul Arieli rilancia una sua proposta che sta cercando di promuovere in tutte le sedi: «Le parti non possono davvero negoziare con questi presupposti. La coalizione al governo in Israele non permetterà avanzamenti nel processo di pace. Ci si potrà arrivare o tramite un cambio di coalizione, o con un scissione nel Likud, o al limite con una decisione individuale di Netanyahu. Personalmente, sono convinto che sia necessario rivolgersi alle Nazioni Unite: se Stati Uniti, Unione Europea e Russia chiedessero al Consiglio di Sicurezza di elaborare una risoluzione, ciò potrebbe fare da punto di partenza solido per nuovi negoziati».

 
 
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