I corpi delle vittime raccolti dalle squadre di soccorso a Har Nof (Reuters).
L'attentato alla sinagoga di Har Nof, un sobborgo di Gerusalemme, in cui due terroristi legati ad Hamas (che ha rivendicato il massacro) hanno ucciso almeno quattro israeliani, ferendone in modo grave almeno un'altra decina prima di essere abbattuti dalla polizia, non è solo il culmine di una serie di atti di violenza che non si sono affatto interrotti con la tregua siglata a fine agosto per fermare la guerra di Gaza.
E' l'incarnazione del peggiore incubo di Israele: il terrorismo che viene da dentro, che matura e si realizza all'interno della comunità araba israeliana, che costituisce circa il 20% della popolazione totale dello Stato ebraico. I due attentatori della sinagoga, infatti, erano residenti di Gerusalemme Est, l'area dove da anni si concentrano le maggiori tensioni tra israeliani e palestinesi e, anche, le maggiori tensioni internazionali: più volte la Ue e gli Usa sono intervenuti per chiedere a Israele di fermare gli insediamenti, ma solo qualche giorno fa il ministro degli Esteri israeliano Lieberman ha ribadito che "mai accetteremo la definizione di insediamenti per le costruzioni nei sobborghi ebrei di Gerusalemme Est e non accetteremo alcuna limitazione delle costruzioni".
Sulla politica di espansione territoriale di Israele, più volte condannata dal Consiglio di Sicurezza e dall'Assemblea generale dell'Onu, si innestano le speculazioni politiche di Hamas e degli ultimi governi israeliani. Hamas conduce senza scrupoli una strategia dello scontro armato che è suicida per la popolazione palestinese, come dimostrano le perdite subite dalla popolazione civile negli ultimi scontri armati con l'esercito di Israele, ma garantisce ad Hamas stesso un ruolo da protagonista, con quel che ne consegue: potere, finanziamenti, affari.
I governi di Netanyahu, appoggiandosi sulla legittima preoccupazione dei cittadini israeliani per la sicurezza del Paese e sulla condotta guerrafondaia di Hamas, hanno gioco facile nel proseguire con la strategia dell'occupazione di territorio attraverso gli insediamenti. Strategia che si esercita, ovviamente, soprattutto ai danni della Cisgiordania governata da Al Fatah e da Abu Mazen, che alla fin fine rappresenta il vero pericolo per questi equilibrii perversi. Perché, a differenza di Hamas a Gaza, persegue un percorso politico, assai più insidioso per Israele di quanto lo siano le pretese militari di Hamas, facilmente controllabili, e assai pericoloso per Hamas perché potrebbe indicare ai palestinesi una strada meno dolorosa e più produttiva di quella voluta da Hamas.
Il problema è che insistendo ad accomunare Hamas e Al Fatah, Gaza e Cisgiordania (Netanyahu lo ha fatto anche in occasione di quest'ultimo attentato), e cioè continuando a chiudere qualunque spiraglio di trattativa anche con la parte maggioritaria e più moderata dei palestinesi, Israele finisce col vivere perennemente sull'orlo dell'intifada.
I due terroristi che hanno colpito i civili inermi della sinagoga di Har Nof erano noti militanti di Hamas ed erano stati scarcerati dalle autorità di Israele nello scambio concordato nel 2011 per la liberazione del soldato Shalit, ch'era stato fatto prigioniero a Gaza nel 2006. Per lui furono rilasciati 1.027 palestinesi, dei quali almeno un centinaio è poi finito di nuovo in carcere.