(Foto Reuters: Benyamin Netanyahu dopo la vittoria elettorale)
“La più grande vittoria della mia vita”: così Benyamin Netanyahu ha definito l’esito del voto alle elezioni politiche israeliane del 2 marzo. Una dichiarazione quasi liberatoria, che arriva dopo la terza sofferta tornata elettorale in meno di un anno e il fallimento politico più pesante patito dal premier in carica dopo il voto di aprile del 2019, quando la coalizione da lui guidata - formata dal partito conservatore Likud e i partiti religiosi e di destra - nonostante il vantaggio elettorale non è riuscita a formare un nuovo Governo.
La vittoria della sua coalizione è risicata nei numeri: il Likud scende a 35 seggi nella Knesset (il Parlamento israeliano) e la coalizione di destra - passando da 59 a 58 seggi - non riesce ad avere la maggioranza di governo (61 seggi su un totale di 120). Alla coalizione di centrosinistra vanno 55 seggi. Un buon risultato ottiene la Lista araba unita, che conquista 16 seggi, aggudicandosi quello tolto al Likud. L’esito del voto, pur non trionfale per Netanyahu, è comunque sufficiente a confermare “King Bibi” (come molti lo chiamano, riprendendo il suo soprannome da bambino) saldamente al potere, in un momento in cui i sondaggi pre-elettorali davano in vantaggio lo sfidante Benny Gantz, leader del partito Blue e Bianco, e il Likud sembrava ormai affossato.
Premier ininterrottamente dal 2009 (per un totale di 13 anni, contando un primo mandato nel 1996), Netanyahu ha già conquistato nel 2019 il record di capo del Governo più longevo nella storia di Israele (superando il primato di David Ben Gurion, fondatore di Israele e primo premier del Paese), oltre ad essere il primo nato nello Stato israeliano.
Settant’anni (nato a Tel Aviv nel 1949, meno di 18 mesi dopo la fondazione dello Stato), figlio di un professore di storia impegnato politicamente con la destra israeliana, Netanyahu ha trascorso buona parte della sua vita negli Stati Uniti, completando gli studi nei due prestigiosi atenei del Massachussets Institute of technology (Mit) e di Harvard, a Cambridge. Sposato con Sara (lei è psicologa), padre di tre figli, Netanyahu è stato ambasciatore di Israele a Washington. Designato leader del partito conservatore Likud nel 1993, nel 1996, a 46 anni, ha assunto per la prima volta l’incarico di capo del Governo diventando il primo ministro più giovane nella storia del Paese. Il suo primo mandato è durato solo tre anni.
Ritornato al potere nel 2009, da quel momento ha mantenuto tenacemente la poltrona di premier senza più lasciarla. La vittoria elettorale e la riconferma a capo del Governo per lui arrivano in un momento cruciale: Netanyahu infatti ha anche un altro record, quello di primo premier israeliano in carica a essere formalmente incriminato. I capi di accusa sono tre: corruzione frode e abuso d’ufficio e l’incriminazione è stata annunciata a novembre del 2019 dal procuratore generale Avichai Mandelbilt, dopo mesi di indagini sul premier L’inizio del processo è fissato al 17 marzo, la legge non impone al primo ministro di dimettersi e restano dunque molto incognite sui prossimi passi che il premier compirà per affrontare questa spinosa situazione che lui definisce come una persecuzione nei suoi confronti.
Famoso per la linea dura adottata e tradizionalmente sostenuta nei confronti dei palestinesi e grande fautore di una politica della sicurezza in Israele, Netanyahu ha sfruttato a suo favore il cosiddetto “piano di pace” per il Medio Oriente (tutto sbilanciato a favore di Israele, a partire dal riconoscimento di Gerusalemme come capitale indivisa dello Stato israeliano) presentato da Donald Trump a fine gennaio e dal premier israeliano fortemente appoggiato. Per accaparrarsi voti alle seconde elezioni dello scorso settembre, aveva promesso che, in caso di rielezione, avrebbe dato il via all’annessione unilaterale a Israele degli insediamenti coloniali ebraici in Cisgiordania a cominciare dalla Valle del Giordano, sollevando le rimostranze della Giordania, oltre che la rabbia dei palestinesi (al voto ha poi vinto Benny Gantz, ma senza ottenere una maggioranza sufficiente a formare un Governo).
Il rapporto con i palestinesi sarà tra i primi punti dell’agenda politica di "King Bibi". Ma nell’orizzonte del premier si profila un’altra enorme, fastidiosa spina nel fianco: la minaccia incombente dell’Iran che vuole l’annientamento di Israele. Lo scorso gennaio, dopo l’uccisione del generale iraniano Soleimani in un raid statunitense, Netanyahu aveva tuonato: «Chiunque cercherà di colpirci riceverà a sua volta un colpo estremamente potente». Toni durissimi. Ora, è tempo di gestire il confronto allontanando i venti di conflitto.