Il campionato Europeo dell'Italia ha cominciato a finire sui passetti troppo corti della ricorsa del rigore di Zaza. A quel punto, dopo aver giocato tutte le carte della fatica e della tenacia, dopo aver sudato l'ultima goccia e scommesso tutti i jolly con la sorte, portando onorevolmente ai rigori una Germania non solo sulla carta più forte, serviva l'umiltà di farla semplice, di tirare una stecca senza pretese.
Ma è sempre facile dirlo da seduti, lontano dall'erba, senza l'orlo del dischetto sotto i tacchetti. Certo forse, quando la fatica annebbia i riflessi, si può evitare il gesto sbruffoncello di Pellè al portierone tedesco Neuer, un gesto che, appena prima di prendere la rincorsa, diceva ti faccio "il cucchiaio" per poi tirare rasoterra, troppo angolato, e mancare la porta. Ma anche Neuer potrebbe evitare di aspettare sempre il tiro dimenandosi come l'orso Balou.
Però è giusto ammettere che, al netto dei quattro rigori sbagliati su nove (troppi per pretendere qualcosa dalla buonasorte), l'Europeo dell'Italia finisce meglio di come voleva il pronostico: con una squadra accreditata più di tattica che di talento, che molti davano a rischio già al girone e che invece si è qualificata in due giornate per poi castigare la titolatissima Spagna agli ottavi.
Merito di Antonio Conte se il cuore e l'anima sono venuti fuori con gli interessi, merito del clima che ha saputo creare e di cui qualcosa s'intuisce guardando quel suo modo tarantolato di assistere alle partite, così agitato da lasciar supporre per lui dietro la linea bianca un dispendio di energie, in urla e passi, paragonabile a quello dei suoi mediani.
Ci aveva provato, Conte, a tenere bassi gli entusiasmi, a ricordare ai suoi che sulla carta i favoriti erano gli altri, a tener a tutti i piedi per terra cercando di chiudere fuori il diluvio di filmati e ricordi riproposti in questi giorni da tutte le parti e che raccontavano sempre la solita storia: un'Italia piccola e nera pronta a beffare al solito modo la Germania, forte del pronostico e della superiorità atletica, perché sempre così è andata sul campo di calcio, quasi a vendicare i luoghi comuni e le inferiorità numeriche e psicologiche della storia con la S maiuscola.
Forse alla fine, quando s'è visto come girava (il gol rimontato, i tre rigori sbagliati per parte) s'è finito per illudersi che sarebbe andata come sempre e che alla fine, anche senza ammetterlo mai, avrebbero avuto più paura loro. E invece no, stavolta no: anche se hanno pescato la loro bestia nera (è azzurra ma loro la vedono nera), i tedeschi stavolta non si sono spaventati. Non abbastanza, almeno, da non agguantare un rigore in più (uno solo) e con esso il lasciapassare.
Questione d'orgoglio, di freddezza, di fortuna? Difficile dire che cosa passi per un rigore di differenza. Non c'è mai la controprova. Forse ci passa soltanto la cosa più semplice e cioè che è vero che la palla è rotonda, ma questa Germania, che pure l'Italia ha irretito fino a renderla innocua nella colla della sua difesa, è pur sempre la Germania campione del mondo in carica, candidata a sostituire, con uno stile diverso, la Spagna che ha un po' smarrito il tiki-taka.
Forse si tratta solo di ammettere che si può essere motivatissimi - e l'Italia lo è stata in Francia superandosi fin qui -, che si può avere la sfortuna di pescare un calendario durissimo in cui ogni turno vale una finale (e l'Italia l'ha avuto), ma che è semplicemente previsto dalla legge dello sport che si possa incontrare un avversario più forte che fa la sua parte.
Alla fine vince uno solo, ma chi perde ne esce a testa alta. E' lo sport. Sarebbe anche la vita, se la vita in giorni tragici come questi in cui si gioca con il lutto, non avesse cose troppo più serie di cui occuparsi.