Il Presidente della Repubblica Giovanni Leone in Arabia Saudita nel 1975
Dalla politica italiana si alza un grido bipartisan: questa partita non s’ha da fare. La partita è la finale di Supercoppa italiana tra Juventus e Milan, in programma il 16 gennaio al King Abdullah Sports City Stadium di Jeddah, in Arabia Saudita. Motivo dello scandalo è la scoperta che le donne potranno assistere alla partita solo in appositi settori, riservati alle “famiglie”, ma non potranno avere accesso ai settori “singles”, riservati agli uomini.
“Che la super coppa italiana si giochi in un paese islamico dove le donne non possono andare allo stadio se non sono accompagnate dagli uomini è una tristezza, è una schifezza: io quella partita non la guardo”, promette su Facebook Matteo Salvini.
“La Federcalcio blocchi subito questa VERGOGNA ASSOLUTA e porti la #Supercoppaitaliana in una nazione che non discrimina le donne e i nostri valori!” strilla su Twitter (le maiuscole sono sue) la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.
“Nessuno sconto a uno dei Paesi che si distingue per le violazioni dei diritti (quelli delle donne in particolare), per la pena di morte contro gli oppositori, responsabile dell’omicidio del giornalista Khashoggi. Anche lo sport deve essere veicolo d diritti”, chiede la lista Più Europa.
“Roba da Medioevo”, si indigna Paolo Grimoldi, deputato della Lega e vice presidente della Commissione Esteri della Camera.
Interpellata dall’agenzia ANSA l’ambasciata dell’Arabia Saudita in Italia ha poi assicurato che le donne potranno andare allo stadio da sole, negando quindi che potranno assistere al match solo se accompagnate dagli uomini.
Tuttavia colpisce che la politica stia chiedendo al calcio quel coraggio di denuncia che la stessa politica non ha mai avuto nei confronti di un Paese, l’Arabia Saudita, che piaccia o non piaccia l’Italia considera da sempre amico e alleato. Da trattare con grande riguardo.
Risale al 1932 il Trattato di Amicizia fra Italia e Arabia Saudita che stabilisce i reciproci rapporti diplomatici e consolari. Il 10 febbraio di quell’anno lo firmano a Jeddah il ministro degli esteri saudita, Emir Faisal, e il Console italiano, Guido Sollazzo. L’ambasciata saudita a Roma viene aperta nel 1958. Da allora gli scambi di visite sono stati costanti. Il primo re saudita a visitare l’Italia è, nel giugno del 1962, Saud bin Abdulaziz Al Saud, invitato dal presidente Antonio Segni. Nel 1973 Re Faisal incontra a Roma il presidente della Repubblica Giovanni Leone. Nel brindisi ufficiale il 7 giugno al Quirinale, Leone sottolinea fra l’altro “che nei nostri due Paesi si trovino i centri di due grandi religioni universali monoteistiche i cui principi morali continuano a far sentire la loro inesauribile forza ispiratrice”. Leone ricambia la visita nel marzo del 1975. Nell’agosto del 1977, nonostante il caldo torrido, vanno a Ryad in visita ufficiale Giulio Andreotti (presidente del Consiglio) e Amintore Fanfani (ministro degli Esteri). Una visita, secondo i sauditi, che “apre nuove prospettive di cooperazione economica”.
Nel 1983 si svolge una visita ufficiale in Italia di Sultan bin Abdulaziz Al Saud, principe ereditario, secondo vice premier e ministro della difesa. Il 19 ottobre il principe pranza al Quirinale con il Presidente Pertini ed è interessante leggere che cosa annota nel suo diario Antonio Meccanico (Segretario generale al Quirinale): “Il Presidente ha voluto solo elementi del suo staff: nessun ministro. Ho dovuto dirlo a Spadolini e Forlani, che non credo abbiano gradito la cosa. Spadolini mi ha comunicato che sugli accordi di forniture d’armi all’Arabia Saudita non si può escludere che nasca un nuovo accordo Craxi-Andreotti”.
Craxi visita l’Arabia Saudita nel 1984, Andreotti ci torna nel 1991 da premier. Nel 1994 il principe ereditario incontra il Presidente Scalfaro a Roma e nel 1997 torna a Roma (dove incontra Scalfaro e Prodi). Scalfaro ricambia la visita nel luglio del 1997, andando in Arabia Saudita accompagnato dal ministro degli esteri Lamberto Dini. Le visite si svolgono a tutti livelli. Infatti nel 1998 visita l’Arabia Saudita il presidente della Camera, Luciano Violante, e nel 2001 Mario Arpino, Capo di stato Maggiore della Difesa.
Non va dimenticato che il 21 giugno 1995 il principe Salman, governatore della provincia di Riyadh, viene a Roma per partecipare all’inaugurazione del Centro Culturale Islamico, la grande moschea voluta e finanziata dall’Arabia Saudita.
Berlusconi va dai sauditi nel marzo del 2002 e ci tornerà nel 2011. Nel frattempo il via vai fra Roma e Ryad è continuo, con visite di vari ministri (Frattini, Scajola, Romani, Sirchia).
Nel 2013, in occasione delle celebrazioni per gli 80 anni delle relazioni diplomatiche fra i due paesi, Emma Bonino, ministro degli esteri, dichiara: “Italia e Arabia Saudita hanno veramente molto in comune e da parte nostra ci sono profonde ragioni per trovare naturale e opportuno il rafforzamento dei nostri legami”.
Matteo Renzi compie la sua vista nel novembre del 2015, mentre l’anno dopo, in momenti diversi volano a Ryad tre ministri di peso: Gentiloni (esteri), Pinotti (difesa) e Alfano (interni). Gentiloni torna in Arabia Saudita da presidente del Consiglio, nell’ottobre del 2017.
L’intensità di queste relazioni diplomatiche ha una spiegazione molto semplice. I rapporti economici fra i due Paesi sono strettissimi. Nel 2017 i flussi commerciali fra Italia e Arabia Saudita sono cresciuti del 9 per cento rispetto al 2016. L’Italia è al 9° posto (il terzo nell’Unione Europea) nella classifica dei paesi che esportano in Arabia Saudita. L’Italia esporta soprattutto macchinari (il 37 per cento del totale) e importa in prevalenza petrolio (meno che in passato, ma rappresa l’85 per cento delle nostre inmportazioni dal regno).
Per quanto riguarda la vendita di armi made in Italy, secondo i dati ufficiali dell’Ambasciata saudita a Roma nel 2017 il valore del nostro export è stato di 45.650.475 di euro, il più alto dal 2014 in poi. Secondo il SIPRI di Stoccolma, fra il 2013 e il 2017 l’Arabia Saudita ha comprato dall’Italia l’1,5 per cento dei suoi armamenti.
Nessuno, insomma, può permettersi di litigare con i sauditi o di farseli nemici. Anche perché, dettaglio da non trascurare, sono amici stretti degli americani (più che mai nell’era di Trump). Il nuovo ambasciatore saudita a Roma, Faisal Bin Sattam Bin Abdulaziz Al Saud, dopo aver presentato le credenziali al Presidente Mattarella, ha incontrato i ministri che contano, a cominciare da Elisabetta Trenta. La ministra della Difesa, così come aveva già fatto Roberta Pinotti, nel settembre del 2018, “davanti alle immagini di quel che accade in Yemen ormai da diversi anni”, aveva chiesto chiarimenti sulle vendite di armi italiane ai sauditi (la legge 185 del 1990 vieta che sistemi d'arma italiani possano essere venduti a paesi in conflitto). Il sottosegretario agli esteri, il leghista Guglielmo Picchi, le aveva replicato che era tutto regolare aggiungendo che “se cambia indirizzo politico, il governo sia consapevole di ogni conseguenza negativa occupazionale e commerciale”.
Il cordialissimo (a giudicare dalle foto) incontro tra il nuovo ambasciatore e Matteo Salvini si è invece svolto il 5 luglio del 2018 al Viminale e alla fine il ministro dell’interno ha dichiarato: “L’Arabia Saudita costituisce un elemento di stabilità e affidabilità tanto nei rapporti bilaterali quanto come attore nel più grande scacchiere mediorientale. È mia intenzione rilanciare la collaborazione tra i due Paesi per riprendere un dialogo costruttivo non solo in tema di sicurezza ma in tutti i settori economici, commerciali e culturali”. Vagli a spiegare, adesso, che giocare in uno stadio saudita “è una schifezza”.
(foto in alto: Ansa)