Il Premier italiano Giorgia Meloni, 46 anni, tra il Primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, 54, primo a sinistra, e quello della Repubblica Ceca, Petr Fiala, 58. Foto Ansa. In alto e in cover, il Premier italiano Giorgia Meloni. Davanti a lei, il presidente francese Emmanuel Macron, 45, con il Capo del Governo lussemburghese, Xavier Bettel, 49,e il Presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, 44. Foto Ansa.
Tutto in due foto. Nella prima, il Premier italiano Giorgia Meloni fissa dritta davanti a sè, le braccia conserte, il volto corruciato, lo sguardo tagliente. A un passo da lei, il presidente francese Emmanuel Macron dispensa sorrisi e battute al Capo del governo lussemburghese, Xavier Bettel, e al Presidente del Parlamento euoropeo, Roberta Metsola. Nella seconda fotografia, la Meloni appare finalmente rilassata tra il Primo ministro polacco Mateusz Morawiecki e quello della Repubblica Ceca, Petr Fiala, esponenti di quel gruppo di Visegrad che ha fatto del sovranismo, dei muri e del filo spinato un abito mentale oltre che un programma politico. Le due immagini "raccontano" il Consiglio europeo straordinario convocato a Bruxelles il 9 e il 10 febbraio per discutere dell'appoggio dell'Unione europea all'Ucraina aggredita un anno fa dalla Russia nonché di economia e di migrazioni. Non tira una buona aria per l'Italia. Il perché di tante increspature lo si capisce guardando un'altra foto, scattata una manciata d'ore prima (l'8 febbraio, per la precisione) e in un altra capitale: Parigi. Mostra Emmanuel Macron, con il Presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy e il Cancelliere tedesco Olaf Scholz.
Parigi, 8 febbraio 2023. Da sinistra: il Presidente dell'Ucraina, Volodymyr Oleksandrovyč Zelenskyj, 45 anni, il Presidente francese Emmanuel Macron, 45, e il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, 64. Foto Reuters.
«A me non interessa stare in una foto che non condivido» , ha polemizzato Giorgia Meloni: «A Parigi c'erano due presidenti europei, ne mancavano 25. Chi pensa ad una Ue di serie A e serie B, chi pensa che l'Europa debba essere un club in cui c'è chi conta di più e di meno, sbaglia. Secondo me quando si dice che l'Ue ha una prima classe e una terza classe, vale la pena ricordarsi del Titanic. Se una nave affonda non conta quanto hai pagato il biglietto».
Robert Schuman (1886-1963) durante il suo discorso nel Salon de l'Horloge, nella sede del ministero degli Esteri francese in Quai d'Orsay a Parigi, il 9 maggio 1950 - © European Union, 2020
Siamo veramente a un passo dal naufragio? «Non esageriamo; il rapporto tra l'Italia e l'Europa va in ogni caso messo in sicurezza, così come, questo sì, va ripensata l'architettura dell'Unione, alla luce delle ultime sfide: pandemia, guerra, crisi economica, flussi migratori. Quanto a essere o non essere invitati a riunioni al vertice, bisogna sempre ricordare che a certi tavoli ci si siede perché si conta e non si conta perché ci si siede. L’autorevolezza si conquista con una politica solida e con la reputazione di coerenza e affidabilità. Ma mi lasci dire una cosa...». Edoardo Greppi, 69 anni, docente di diritto internazionale nel Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università di Torino e a lungo consulente del Pontificio Consiglio Iustitia et Pax ricorre a un paradosso provocatorio: «Quando si parla di Europa, si invoca spesso un ritorno allo spirito delle origini. Beh, gli eventi delle ultime ore dicono che ci siamo. La dichiarazione che il 9 maggio 1950 (data di nascita dell'Europa) fece l'allora ministro degli Esteri francesce, il cattolico Robert Schuman, gettava radici nel rapporto tra Francia e Germania, sigillo della faticosa ma necessaria amicizia tra due Nazioni che avevano dato vita a 3 guerre in 70 anni. Carbone e acciaio. Alsazia e Lorena. Non Pianura padana. Poi, certo, passo dopo passo l'Unione europea (Ue) s'è allargata anche a Sud e ad Est, diventando più Mediterranea ed Orientale. Ma le origini stanno lì, a Strasburgo e dintorni. Perché allora stupirsi?».
Il professor Edoardo Greppi, 69 anni.
C'è dell'altro. «Dal 24 ottobre 1648, vale a dire dalla pubblicazione dei Trattati di Vestfalia in poi, il diritto internazionale assicura la pari dignità degli Stati. Ma al di là dell'eguaglianza formale, contano come sempre i rapporti di forza», continua il professor Greppi. «La Francia, potenza nucleare ed economica, unitamente alla Germania, motore economico del Vecchio Continente, oggi avviata sulla via del riarmo, rimangono le due Nazioni più importanti. Con tutto il rispetto, poi, Giorgia Meloni non è Mario Draghi; guida il primo Governo italiano decisamente schierato a destra, con uno dei vice premier, Matteo Salvini, che ricopriva lo stesso incarico quando, Capo del Governo Giuseppe Conte, l'altro vice premier Luigi Di Maio andò in Francia a solidarizzare con i "gilet gialli". Queste cose pesano sia a Parigi che a Berlino, sia a Bruxelles che a Strasburgo».
Il Premier italiano Giorgia Meloni a Bruxelles, il 10 febbraio 2023. Foto Ansa.
«Quanto accaduto nelle ultime ore è oggettivamente un pasticcio che dimostra la complessità della situazione», ammette Greppi. Che fare, allora? «Tre cose, direi», conclude il professor Edoardo Greppi. «La prima: tradurre in atti concretti il Trattato del Quirinale, firmato da Mario Draghi ed Emmanuel Marcon il 26 novembre 2021 con l'obiettivo dichiarato di migliorare le relazioni franco-italiane, soprattutto nei settori industriale e culturale. Undici capitoli parlano di collaborazione rafforzata, dalla politica estera allo spazio, dalla difesa alla formazione. Ciò potrebbe portare anche a regolari riunioni congiunte di ministri. Il Trattato ha poco più di un anno di vita. Il rapporto tra Francia e Germania di anni ne ha molti di più: Parigi e Berlino (prima: Bonn) coltivano il loro rapporto particolare dal 22 gennaio 1963. Roma deve cercare l'intesa con Parigi evitando confronti muscolari anche quando ha solide ragioni come sui migranti. L'invettiva, in politica, non paga; o, almeno, non paga quanto l'intenso lavoro diplomatico, la paziente attesa, il dialogo costante. Seconda cosa da fare: puntare alla riformulazione del Regolamento di Dublino che dal 1990 regola l'arrivo in Europa dei richiedenti asilo (e dei migranti). Responsabiltià e oneri devono essere maggioramente condivisi. Terzo e ultimo obiettivo: ridisegnare il Vecchio Continente seguendo il sogno dei padri fondatori. L'Europa non è una semplice espressione geografica. È un grandioso progetto politico. È un mercato e una moneta comune. Deve diventare anche un'economia e una difesa condivise. Ce lo chiede la Storia. Non si arriva a questo traguardo litigando. Nè si può chiedere a Sergio Mattarella di rammendare ogni strappo. Tanto meno è opportuno flirtare con chi (il gruppo di Visegrad) fa del sovranismo un valore assoluto.Non dimentichiamo che sul retro di tutte le banconote da 5, 10, 50, 100 e 200 euro, è riprodotto un ponte. Ponti, non muri. Ecco la vocazione dell'Europa».