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martedì 15 ottobre 2024
 
 

Il calvario dei detenuti

28/03/2013  Oggi pomeriggio il Papa celebra la Messa a Casal del Marmo dove sono reclusi 48 minorenni, ragazze e ragazzi. Un'occasione per riflettere sulle condizioni di chi vive dietro le sbarre.

Il 28 marzo, Giovedì Santo, con la visita, la Messa e la lavanda dei piedi nell’Istituto penale per i minori di Casal del Marmo, papa Francesco ha seguito non solo le orme dei suoi predecessori (Giovanni Paolo II vi andò l’Epifania del 1980 e Benedetto XVI nella Quaresima del 2007), ma anche quelle di altri illustri prelati.

Un legame fortissimo con i giovani reclusi del carcere minorile romano lo ebbe, infatti, il cardinale Agostino Casaroli, segretario di Stato Vaticano dal 1979 al 1990. Pare che l’attenzione di Casaroli verso i giovani detenuti sia maturato quando era un giovane prete a Roma. Passando spesso davanti al grande complesso del San Michele (l’edificio sul Lungotevere che per molti anni fu il carcere minorile di Roma), Casaroli osservava i ragazzi del carcere mentre si divertivano a prendere in giro i passanti. Così si chiese: che cosa posso fare per questi giovani? Rispose alla domanda dedicando il suo tempo ai giovani reclusi, peri quali fu sempre “padre Agostino”.

L’Istituto penale minorile di Casal del Marmo si trova nella periferia nordoccidentale della città, nella zona di Ottavia. Il carcere è strutturato in un complesso architettonico molto ampio, di circa 12 mila metri quadrati. I detenuti maschi sono alloggiati in due palazzine di 24 posti ciascuna; una terza palazzina ospita la sezione femminile, composta da altri 24 posti. È molto elevata la percentuale di detenuti extracomunitari, spesso di religione musulmana, perciò nella struttura si ricorre ai mediatori culturali. La difficile situazione che a volte si vive all’interno del carcere di Casal del Marmo è testimoniata da alcuni recenti fatti di cronaca:ad esempio, lo scorso 29 gennaio due giovani romeni, entrambi maggiorenni, sono evasi dopo aver colpito un volontario in testa con un martello, ma sono stati bloccati poco dopo dalla polizia penitenziaria.

Nell’istituto sono organizzate attività scolastiche e, per gli analfabeti,prescolastiche. Sono previste anche attività di formazione lavoro, promosse dalla Caritas diocesana, con laboratori di falegnameria, tappezzeria e pizzeria. Per le ragazze, invece, è in funzione un laboratorio di sartoria. Lo scorso ottobre, proprio a Casal del Marmo, i ministri della Giustizia, Paola Severino, e dell’Istruzione, università e ricerca, Francesco Profumo, hanno sottoscritto un programma speciale per assicurare l’istruzione e la formazione all’interno degli istituti penitenziari, quale elemento fondamentale del trattamento dei condannati e internati. Il protocollo punta a promuovere e sostenere lo sviluppo di un sistema integrato di istruzione e formazione professionale, favorendo l’acquisizione e il recupero di abilità e competenze individuali dei giovani reclusi. È anche previsto l’aggiornamento di insegnanti ed educatori che prestano servizio negli istituti penitenziari. L’intesa, che avrà la durata di tre anni, sarà realizzata in collaborazione con le Regioni e gli enti locali e il coinvolgimento di enti, fondazioni e associazioni di volontariato.

Roberto Zichittella

Domenico Antonio Pagano, 46 anni, si è impiccato il 17 marzo nella casa di reclusione di Opera (Milano). Da inizio mese, è il sesto suicidio nelle carceri italiane e altri 3 detenuti sono deceduti per cause in corso di accertamento.

Il 4 febbraio, aveva fatto discutere il caso di Natale Coniglio, operaio 42enne originario di Stilo (RC), impiccatosi nella sua cella di Noto (SR). Era stato condannato per furto e ricettazione e la sua famiglia aveva più volte fatto presente agli organi giudiziari la fragilità psicologica di Natale, chiedendo la detenzione domiciliare in una clinica specializzata per scontare il resto della pena. Il rigetto dell’istanza e il trasferimento dal carcere di Locri a quello di Noto sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Nello scorso anno, sono stati i mesi estivi quelli più drammatici. Un quarantenne italiano, che soffriva di disturbi psichici, si è suicidato il 30 agosto, impiccandosi con la cintura del suo compagno di cella, nel carcere di Udine.

Il 5 agosto, invece, Valentino Di Nunzio, 29 anni, è morto, dopo sei mesi di agonia, per essersi buttato “di testa” dal letto a castello della sua cella. È stato il quarto detenuto morto suicida nel carcere di Teramo in otto mesi. Il 1 agosto, nella casa circondariale di Alba, un cinquantenne albanese si è ucciso con una rudimentale corda ottenuta annodando le lenzuola. “Io là dentro non ci torno”, ha detto anche Emanuele Grisanti, padre di un bambino di 4 anni, recluso a Roma, prima di impiccarsi ad un albero nel cortile dell’ospedale in cui doveva essere operato di calcoli. 

In tutto, secondo l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, nel 2012 sono stati 60 i detenuti che si sono tolti la vita e 154 i morti dietro le sbarre, mentre per il 2013 siamo già a 44 “morti di carcere”, di cui 14 per suicidio Nell’Italia delle celle, si muore da Nord a Sud, senza differenze di età e di reati commessi. Ma anche senza distinzione di ruoli: 9 agenti di polizia penitenziaria si sono uccisi lo scorso anno.

Numeri che parlano di un forte malessere “al di là del muro”, dove vivono 100mila persone, tra carcerati e carcerieri. Un mondo in cui dovrebbero farsi strada la rieducazione, la legalità, il rispetto della dignità, per restituire alla società persone libere e responsabili. Per produrre, in definitiva, più sicurezza. Questo è il senso della pena detentiva, il significato imposto dalla Costituzione e dalle successive scelte riformatrici. Eppure, la realtà è lontana anni luce. Il Ministro Severino ha tempo fa usato l’espressione “gironi infernali”, mentre Lucia Castellano, ex direttrice del carcere modello di Bollate, ha parlato di “cimitero dei vivi”. Sicuramente, ed è un paradosso, “fuorilegge”. Un anno fa, la Corte Europea dei Diritti umani ha condannato l'Italia per aver detenuto persone in meno di tre metri quadri. Tortura e trattamento inumano e degradante secondo l’articolo 3 della Convenzione Europea.

Dal 1990 ad oggi, infatti, la popolazione carceraria è più che raddoppiata, passando da 25mila a oltre 66mila persone. Il 36% è detenuto per violazione della legge Fini-Giovanardi sulle droghe. Ma nelle 206 carceri italiane non c'è abbastanza spazio: ci sono 145 persone ogni 100 letti disponibili, 21mila detenuti in più. Siamo il Paese più sovraffollato d’Europa. La situazione è drammatica da Nord a Sud: alla Puglia, con il 188,8%, spetta la maglia nera del sovraffollamento, seguita dalla Lombardia e dalla Liguria.

Nel mese di agosto, l’associazione Antigone, che dal 1991 tutela i diritti dei detenuti, ha lanciato l’iniziativa “in carcere nella calda estate italiana”: i volontari sono andati a monitorare la condizione di vita interna, gli spazi a disposizione, lo stato delle strutture, e hanno diffuso un report dopo la visita. Una delle situazioni più critiche è a Messina; qui, con un sovraffollamento del 200%, alcuni detenuti vivono in uno spazio inferiore ai 2 metri quadri a testa, “per stare in piedi – rilevano da Antigone – bisogna fare i turni”. Nella sezione femminile, dove vive anche una bambina di due anni e mezzo, “le celle e i corridoi presentano crepe sui muri, intonaco scrostato, gelosie di vetro alle finestre, muffa e umidità nei bagni.

Le docce sono in comune e l'acqua calda nelle celle non è disponibile: le detenute lamentano di doversi lavare con le bottiglie”.

Stefano Pasta

«Un annuncio che ci ha colto di sorpresa e che ci ha subito emozionati». Don Gaetano Greco, cappellano del carcere minorile di Casal del Marmo, racconta che i ragazzi, «48 in tutto fra maschi e femmine, tra cui anche musulmani e ortodossi, hanno accolto con gioia e stupore l’annuncio della visita del Papa. Siamo rimasti spiazzati, ma poi ci siamo subito messi a lavorare per preparare l’incontro».

– Non è la prima volta che un Papa viene a visitare il carcere minorile...

«No, io sono qui dal 1981. L’anno prima era venuto Giovanni Paolo II. Poi, nel 2007, venne Benedetto XVI. C’era stata però una preparazione di mesi. Anche se, forse, i pochi giorni di preavviso ci sono serviti per metterci nello spirito di papa Francesco: non c’è stato il tempo per preparare grandi cose e quindi è tutto all’insegna della semplicità, privilegiando il rapporto personale e le relazioni del vescovo di Roma con i suoi ragazzi».

– Quali sono stati i frutti della visita di Benedetto XVI?

«Innanzitutto quella visita fu la rivelazione di un aspetto sconosciuto di papa Ratzinger, perché il grande teologo, la persona che tutti pensavamo austera e quasi fredda, coni ragazzi fu di una semplicità unica, fu un vero padre, molto accogliente. Quell’incontro fu il richiamo alla fede e a valori fortissimi che, in certe circostanze, alcuni avevano messo da parte. Questi valori sono riemersi fortemente e oggi molti di loro, anche grazie alla riflessione suscitata da quell’incontro,sono fuori dai circuiti del disagio e delle difficoltà».

– Cosa vi aspettate che accada dopo la visita di Francesco?

«Che la società faccia marcia indietro rispetto alla tendenza attuale. Si pensa che punendo e rinchiudendo si risolvano i problemi. Invece su questi ragazzi, che sono l’anello più fragile della società, bisogna investire in stimoli nuovi. Questo paga per il recupero e spero che, con la visita di papa Francesco, arrivi alla società il messaggio che questi ragazzi hanno bisogno di essere accompagnati e guidati verso il giusto, verso il bello della vita».

Annachiara Valle

La visita di papa Francesco al carcere minorile di Casal del Marmo riporta l’attenzione sul tema degli istituti di pena. E se quelli del circuito minorile, grazie anche ai pochi numeri, riescono a far fronte alla situazione prevedendo percorsi di recupero e reinserimento, si fa, invece, sempre più disagevole la situazione per gli adulti. Sovraffollamento,  mancanza di risorse, strutture obsolete aggiungono una oggettiva “pena accessoria” ai detenuti. In tutto 65 mila, circa 23 mila in più della capienza degli istituti di pena, i detenuti devono spesso affrontare situazioni di vita che, è la denuncia del cappellano di Rebibbia don Sandro Spirano, “tutto fanno tranne che ridare dignità e speranze alle persone”. Non è un caso se, negli ultimi dieci anni, nelle carceri italiane si sono registrati oltre 700 suicidi. Nella prima decade di aprile, partendo dall’istituto di Carinola, in Campania, sarà avviato il progetto “Circuiti regionali” pensato dal Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap). L’idea è quella di sradicare il meno possibile i detenuti dal loro territorio consentendo a chi ha famiglia o parenti di facilitare le comunicazioni e gli incontri e, nel contempo, di “aprire” un po’ gli istituti in modo da favorire il contatto con l’esterno in vista di un migliore reinserimento.  L’iniziativa del Dap, che era stata avviata in via sperimentale a Bollate, Civitavecchia, Torino e Porto Azzurro “hanno dato”, spiega il direttore del Dap, Tamburino, “risultati interessanti. Rendere meno ingabbiata la vita dei reclusi ha un effetto positivo”.

Quanto serva avviare progetti integrati con il territorio, che non isolino i detenuti, lo sanno molto bene anche gli istituti per minori. Quello di Casal del Marmo, in particolare, che ospita 46 ragazzi (di cui 11 ragazze) si avvale del sostegno di Borgo Amigò, un’associazione realizzata dal cappellano padre Gaetano Greco. Il Borgo fa da ponte tra l’azione all’interno del carcere minorile e l’accompagnamento dei ragazzi fuori dalle sbarre. Molti di loro sono stranieri, in particolare rumeni e magrebini. Le religioni più presenti sono quella musulmana e ortodossa. In realtà, spiega ancora padre Gaetano, i minori stranieri lo sono solo all’anagrafe essendo nati e vissuti nel nostro Paese”. Ma la mancanza della cittadinanza italiana e il vivere la cosiddetta “doppia appartenenza" culturale - è l’esperienza degli educatori -  acuisce le problematiche tipicamente adolescenziali legate alla costruzione dell’identità ed è un ulteriore ostacolo all’uscita dai percorsi delinquenziali.

                                                                                                            Annachiara Valle

Sette su dieci sono malati

  

Da quando nel 2008 la sanità nelle carceri è stata demandata alle asl non ci sono più dati certi. Ma le associazioni del settore, come Antigone e il Forum per la Sanità Penitenziaria, calcolano che nei penitenziari circa il 70% dei detenuti sia malato.   Le patologie più comuni sono le tossicodipendenze (almeno 30%); i disturbi psichici con oltre il 16%, seguiti dalle malattie dell`apparato digerente e dalle patologie infettive e parassitarie. E questa è una media. Basta dire che a La Spezia ha problemi di droga circa il 50% dei reclusi. Almeno un terzo della popolazione carceraria ha poi commesso atti autolesivi e circa il 15% ha tentato il suicidio.

Quando un detenuto si ammala dovrebbe essere trasferito nel reparto penitenziario dell’ospedale più vicino, ma non di rado le diagnosi sono tardive. A Padova una dottoressa è sotto inchiesta perché avrebbe scambiato un infarto per un dolore allo stomaco.   Insomma, le carceri italiane potrebbero essere una vera bomba sanitaria, e il controllo delle malattie non è sempre semplice. Dei 93 detenuti morti nel 2012 per 31 ancora non si conoscono le cause. E a rischio non sono solo i detenuti ma anche gli operatori che lavorano nelle carceri, a cominciare dagli agenti e dai volontari, che possono contrarre le più svariate malattie. “I pericoli sono davvero reali. Quando un detenuto entra in carcere viene sottoposto solo alla visita psicologica, ma non gli si fanno le analisi – dice Donato Capece, segretario del sindacato di polizia penitenziaria Sappe – Per esperienza dico che chi viene dall’Africa non di rado è portatore di malattie infettive come la tbc”.

L’igiene in questi frangenti è fondamentale e questa è particolarmente carente in strutture vetuste come San Vittore a Milano, Buoncammino a Cagliari, Regina Coeli a Roma o Poggioreale a Napoli. Per il senatore Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la sanità penitenziaria uno dei problemi principali è l’alimentazione di chi è malato che “dovrebbe essere calibrata in base alla malattia e invece questo non avviene. Il pasto di un detenuto costa 3,8 euro, una cifra risibile se si pensa che i comuni spendono per la stessa voce 4 euro per i cani ospitati nei canili. Qua e là, si sta comunque cercando di invertire questa tendenza, costruendo, come avviene in questi giorni a Regina Coeli, una cucina specifica”.  

Rimane il problema dei sei opg presenti in Italia, gli ospedali psiciatrico-giudiziari, la cui chiusura è stata rimandata di un anno, al 1° aprile 2014. Una volta aboliti dovrebbero essere realizzate case famiglie per curare chi non può andare in carcere. I fondi sono stati stanziati dal ministero della Giustizia, ora si attende che partano i progetti. 

                                                                                                          Alessandro Guarasci

Due dei dodici erano donne. Un paio, musulmani. Per la prima volta in assoluto la Messa in coena domini del Giovedì Santo celebrata dal Papa, con la lavanda dei piedi in ricordo del gesto di Gesù, ha visto protagoniste anche due ragazze e persone di altre religioni. Una italiana e una romena si sono sedute in mezzo agli altri dieci. Ai ragazzi di Casal del Marmo il Papa parla con parole semplici. Li esorta ad “aiutarci l’un l’altro come insegna Gesù” e spiega il gesto del lavare i piedi come servizio e aiuto reciproco: “È questo che io faccio e lo faccio di cuore perché è mio dovere di sacerdote, ma è un dovere che amo perché ce lo insegna il Signore. Anche voi aiutateci sempre l’uno l’altro e così aiutandoci ci faremo del bene”. E poi li invita, durante la lavanda a pensare “sono disposta, sono disposto a servire l’altro, ad aiutare l’altro? Solo questo, pensiamo solo a questo”. Poco più di tre minuti di omelia per far sentire ai ragazzi il calore del pastore, del Papa che lava loro i piedi: “Un segno”, spiega Francesco, “commovente, un segno che è una carezza di Gesù perché Gesù è venuto per questo, per servirci per aiutarci”.

I ragazzi pregano per Papa Francesco, che concelebra anche con il cardinale Agostino Vallini, con monsignor Becciu e con padre Gaetano Greco, perché il Signore lo “custodisca”, con parola a lui cara. E accompagnano la Messa con la chitarra e le loro voci. Al termine della Messa il Papa si sposta in palestra per parlare più liberamente con loro. All’ingresso un lungo applauso e poi il saluto del ministro della giustizia Paola Severino. “delle cose che lei ha detto da Papa molte mi hanno colpito, ma una in particolare: ‘custodire’. “Una custodia fatta con il cuore. “Un tempo gli agenti della polizia penitenziaria si chiamavano agenti di custodia. Io riproporrei di chiamarli ancora così perché nel termine custodire c’è questo amore. Ed è quello di cui questi ragazzi hanno bisogno per ritornare nella società guariti come possono fare”. E poi rivolta ai ragazzi il ministro insiste: “Ce la potete fare. Oggi voi avete avuto un grande aiuto e di questo siamo molto grati”.

Il Papa apprezza e ringrazia. Poche parole ancora per tornare a incoraggiare: “Sono felice di stare con voi, avanti”. E dice anche a loro come aveva fatto con i giovani presenti domenica scorsa in piazza San Pietro: “Non lasciatevi rubare la speranza, sempre con la speranza, avanti!”. Un ragazzo chiede il perché della visita e il Papa risponde: “Ho sentito così, i gesti del cuore non hanno spiegazioni”.

“Un atto meraviglioso di servizio”, ha spiegato ai giornalisti, assiepati fuori, padre Lombardi raccontando che il Papa era inginocchiato con entrambe le ginocchia in un gesto di servizio straordinario”. In tutto erano presenti 120 persone compreso il personale del carcere e i volontari.

Annachiara Valle

 

 
 
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