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lunedì 11 novembre 2024
 
Tre storie vere
 

Italiani a Londra: casa, lavoro, soldi e persino l’amore

22/09/2015  Uno è appena arrivato, il secondo è qui da otto anni e il terzo da venti. «Gli inglesi vogliono chiudere le frontiere? Non lo faranno di certo, sanno che noi stranieri li possiamo rendere più ricchi».

Un contratto in uno studio di architettura. Questo è il sogno di Matteo Casaburi, 26 anni, di Novara, residente a Londra da un mese. «È una città che conosco molto bene», racconta, «perché ci sono venuto spesso a trovare la mia ragazza, Alessia Rundo, che abita qui da due anni assunta alla ditta Vevo, dove si occupa di marketing digitale».

All’estero Matteo è di casa. Laurea triennale in Architettura al Politecnico di Milano, dove ha conosciuto Alessia. Poi un Erasmus in Spagna seguito da un primo Master a Manchester e un secondo in Olanda, a Deft, concluso agli inizi dello scorso luglio.

Anziché “arrivato” Matteo dice “salito” a Londra. «È una città che mi piace molto e, inoltre, nel mio campo, in Italia, non ci sono molte possibilità», spiega ancora. Per adesso Matteo è pieno di speranza perché sta aspettando il risultato di tre colloqui di lavoro, ma ha anche una lunga lista di studi di architettura e agenzie specializzate da contattare. «A luglio ho cominciato a rispondere a offerte di lavoro on line e mi hanno chiamato già ai primi di agosto», aggiunge.

Matteo non pensa che il Governo di David Cameron accoglierà la proposta del ministro degli Interni Theresa May che vuole consentire agli italiani di venire in Gran Bretagna soltanto se hanno già un contratto di lavoro in mano prima di lasciare il nostro Paese.

«Gli inglesi sono consapevoli del fatto che gli stranieri hanno sempre arricchito la Gran Bretagna, e Londra in particolare, e che ci rimetterebbero a chiudere le loro frontiere», dice.

E dopo un italiano appena arrivato, uno che è qui già da un po’. La fortuna di Matteo Dalle Fratte, 36 anni, di Bassano del Grappa, a Londra da quasi otto anni, sono stati i due concorsi pubblici che ha perso in patria. Di Asolo, laureato in Lettere con indirizzo musicologico, tenore lirico e pianista, dopo una serie di contratti a termine nell’ufficio cultura dell’amministrazione pubblica non riesce a ottenere quel contratto permanente che gli avevano promesso. «Mi sono arrabbiato. Ho caricato le mie cose in auto e sono partito contando solo sull’ospitalità di alcuni amici», dice.

L’ITALIANO DELL’OPERA

Oggi sta diventando famoso. Professore alla londinese Guildhall School of Music and Drama, gira Italia e Gran Bretagna diffondendo la melofonetica, ovvero il suono della lingua cantata, una nuova disciplina che aiuta i cantanti dell’opera lirica a pronunciare l’italiano correttamente. Ha dato vita a una Fondazione e anche a un sito  (melofonetica.com) dedicati proprio a questa nuova materia.

«Arrivato a Londra mi sono ritrovato a fare il coach per i cantanti lirici e mi sono accorto che non conoscevo la mia lingua, che nessuno sa davvero come gestire quando si tratta di opera», spiega. «La Guildhall, uno dei Conservatori più famosi nel mondo, mi ha assunto come ricercatore per studiare proprio la fonetica dell’opera lirica e ho scoperto che occorre concentrarsi sulla pronuncia delle lunghezze consonantiche per ottenere il suono giusto dell’italiano nella lirica. In Italia non abbiamo mai capito che, se l’opera diventa un fenomeno internazionale, dobbiamo trovare dei metodi per renderla accessibile a tutti».

Oggi Matteo è in luna di miele con la moglie britannica, Jamila Jones, laureata in Italiano e, anche lei, appassionata della nostra lingua, ed è un uomo felice.  «A Londra ho trovato la passione e il rispetto per l’opera lirica che in Italia manca», dice.

La terza storia è quella di Alessandro Mele, 44 anni, di Brindisi, un veterano dell’immigrazione italiana a Londra. In vent’anni qui ha fatto tutto. Fortuna, famiglia, fallimento, ma ha anche, soprattutto, pregato. Cattolico praticante, impegnato alla Chiesa italiana di Londra di St. Peter’s, Alessandro si laurea, a pieni voti e in corso, in Economia e Commercio alla Bocconi di Milano. A Londra trova subito una borsa di studio per un master di specializzazione e uno stage presso la Financial Security Assurance.  «Mi pagavano il viaggio e un appartamento in centro e mi davano anche 400 sterline al mese come rimborso spese. Corrispondevano a 1.200.000 lire italiane, lo stipendio di un neolaureato».

Alessandro non ci pensa due volte. Milano, carriera accademica garantita ma nessun soldo. Londra, indipendenza economica dai genitori.

«Mi ero accorto che, già nei primi anni Novanta in Italia c’erano segnali di crisi. Trovare lavoro non era facile neppure per i bocconiani più brillanti». Il dottor Mele ama lo scambio con gli stranieri, «nel quale conosci un nuovo te stesso», e la crescita professionale. Ma la City dà e la City toglie.

Anno 2008, crisi finanziaria. Dopo una carriera intensa, «a ritmi pazzeschi», in banche di investimento famose, come la Deutsche Bank e la Bank of America, l’ex bocconiano si ritrova senza lavoro e senza i soldi per mantenere la casa e pagare la scuola dei figli. È allora che sente da vicino la mano della Provvidenza, alla quale si è sempre affidato fin da bambino.

UN AMBIENTE DISUMANO

  

«Dio mi stava portando verso un lavoro che combinasse la mia vocazione umana e cristiana con quella professionale, mentre fino ad allora avevo dovuto dividermi tra un ambiente di lavoro disumano e competitivo e la mia natura più vera di uomo preoccupato del benessere di chi mi sta accanto».
Oggi Alessandro dirige la Ethical Fin, società di consulenza finanziaria, specializzata negli investimenti etici. «Non mi sono mai trovato completamente a mio agio negli ambienti delle banche di investimento, dove regna una competizione selvaggia», spiega. «Oggi, attraverso la mia azienda, cerco di far capire ad altri che non bisogna vivere vite a compartimenti stagni seguendo alcuni valori nella vita privata e altri sul lavoro».

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