Ivana Di Martino. In copertina, Un momento della "maratona" per Terres des Hommes.
Una madre di tre bambini, operata due volte al cuore, ha scelto il giorno di Pasqua per iniziare una maratona di 467 chilometri a favore dei minori non accompagnati, denominata "Running for kids". Questa straordinaria donna normale si chiama Ivana Di Martino, ha 43 anni e dall'età di 11 ha sempre amato correre. Dopo i due interventi al cuore in età adulta, ha potuto riprendere ad allenarsi, tanto che ora sta percorrendo in 21 giorni l'Italia, da Catania a Milano, per appoggiare un progetto di Terres des Hommes.
Da decenni Terres des Hommes, associazione internazionale, interviene a favore dei bambini in tutto il mondo. Nel Centro di prima accoglienza per minori stranieri non accompagnati di Priolo (Siracusa), è presente con un progetto di assistenza psicologica ai giovanissimi che vi rimangono in attesa di essere accolti in piccole comunità. Per questa iniziativa, che si chiama "Faro", sta correndo Ivana Di Martino e ci spiega perché: "Si tratta di dare un messaggio attraverso la corsa. Lungo il percorso ci fermiamo in diversi centri di accoglienza, dove incontriamo i minori e raccogliamo le loro storie. La maratona rappresenta in modo simbolico il viaggio della speranza di questi ragazzi". E la raccolta di fondi stimolata dall'evento permetterebbe per un altro anno la continuazione del progetto "Faro" per 80 minori (per contribuire: www.retedeldono.it/un-faro-di-speranza-per-i-bimbi).
Durante la sua impresa sportiva e umanitaria, che si concluderà il 10 maggio, Ivana è sotto costante controllo per via telematica da parte del Centro cardiologico Monzino di Milano, la città dove vive. L'allenamento è stato costante e duro, cinque volte la settimana alzandosi alle 5 del mattino, perché poi c'era il lavoro come assistente alla comunicazione per ragazzi non udenti e la cura della famiglia, in particolare dei tre figli di 12, 10 e 6 anni.
"Per fortuna mio marito mi appoggia completamente in questa iniziativa", ci ha raccontato Ivana Di Martino, "e io volevo prepararla nel migliore dei modi. Se si può aiutare gli altri, perché non farlo? I bambini, poi, per me sono intoccabili, non hanno colpe, hanno il diritto di crescere bene. Il pensiero che non possano nemmeno tirare calci a un pallone, solo perché hanno avuto la sfortuna di nascere in una parte povera del mondo, mi rattrista particolarmente. Voglio dedicare questi 21 giorni di corsa ai piccoli che non hanno la fortuna di avere tutto ciò che sarebbe loro diritto".
In Italia l'anno scorso sono arrivati quasi 8 mila minori stranieri non accompagnati. Lilian Pizzi è la psicologa che al Centro di Priolo realizza il progetto "Faro", insieme con un mediatore culturale. Attualmente sono ospitati 103 ragazzi fra i 13 e i 17 anni, tutti provenienti dall'Africa. Dovrebbero rimanere solo 48 ore, ma spesso restano per 3-4 mesi, "e questo per loro rappresenta un trauma ulteriore, perché quasi tutti arrivano dopo un viaggio segnato da esperienze violente e cruente", sottolinea la psicologa. "Molti hanno l'ansia di iniziare una vita costruttiva e vederla rinviata di mesi, dopo le sofferenze attraversate, provoca la paura di non farcela, il dubbio di non avere la tutela legale che si aspettavano arrivando da noi".
Quasi tutti i ragazzi passati dalla Libia nella loro fuga verso la speranza, la definiscono come un inferno sulla terra, per la paura della polizia, delle sparatorie facili verso le persone di pelle scura e per le bande di ragazzini che li assalgono e li derubano. "Uno dei nostri ospiti, arrivato da dieci giorni, è stato torturato con scosse elettriche", continua Lilian Pizzi. "Sono ragazzi forti, provengono da mesi di violenza costante e serve tempo prima di smettere di avere paura. Quasi tutti presentano disturbi del sonno, angoscia diffusa e una stanchezza profonda, perché finalmente si possono rilassare. C'è chi ha sintomi depressivi, alcuni manifestano anche fantasie di morte dopo le violenze e le umiliazioni in Libia. Sono reazioni post-traumatiche a situazioni di violenza anomale".
In attesa di iniziare una nuova vita in piccole comunità, di studiare o lavorare, a Priolo chi lo richiede può contare su un supporto psicologico individuale. Per il gruppo il sostegno passa attraverso discussioni, giochi, brevi corsi di lingua italiana, attività fisica, letture e assistenza informatica. Spiega la psicologa: "Si tratta di riattivare in loro le risorse che li potranno aiutare nel viaggio verso l'Italia o l'Europa. Cominciano a stare meglio quando sentono che i loro diritti sono garantiti, perché serve stabilità per prendersi cura di sè e curare le ferite interiori profonde, inferte da umiliazioni e violenze. Stando con gente che li tratta in modo umano, prendono contatto con i loro desideri, con le potenzialità e i progetti. Considero importante che nei Centri di prima accoglienza ci sia qualcuno che avvicini le persone tenendo conto della loro complessità e delle loro storie. Trovare spazio per l'umano è una sfida importante".