Lo dicono le ricerche: i figli di
coppie separate hanno più
probabilità di dividersi a
loro volta quando si sposano.
È quanto capita a Delia
(Jasmine Trinca), protagonista
con Gaetano (Riccardo
Scamarcio) di Nessuno si
salva da solo, il film che Sergio Castellitto
ha tratto dall’omonimo romanzo
della moglie Margaret Mazzantini.
Cresciuta dalla madre con cui è in perenne
conitto, sprofondata nel buio
dell’anoressia, Delia trova un’àncora
di salvezza nell’esuberanza di Gaetano.
I due si amano, si sposano, mettono
al mondo due figli. Ma poi li ritroviamo
seduti uno di fronte all’altro in
un ristorante.
Il loro matrimonio è finito e devono
discutere su come passare l’estate
con i figli. Il film alterna questo
presente, dove presto la cena si trasforma
in un duello a base di parole sempre
più velenose («Dovrò pure passarti
questi soldi...», dice lui per umiliarla.
Pensa piuttosto a passare a prendere
i tuoi gli», risponde secca lei), al passato
in cui assistiamo al progressivo
disfacimento del loro grande amore a
cui corrisponde anche un degrado delle
loro anime.
Specie all’inizio, si ha il timore che
Castellitto si faccia prendere la mano
dal suo stile sovraccarico (a partire
dalle scene di nudo), ma poi il film
trova il suo equilibrio nel bellissimo finale. Nel ristorante, accanto alla giovane
coppia, ce n’è un’altra molto più
avanti con l’età, ma soprattutto molto
più felice. Sarà l’uomo (interpretato da
un sorprendente Roberto Vecchioni) a pronunciare la battuta che dà il titolo
al film e che lo apre alla speranza:
«Nessuno si salva da solo».
«Nel film parliamo di coppia e
di famiglia, ma io allargo il discorso
a tutte le relazioni», ci dice Jasmine
Trinca sul treno che da Roma ci riporta
a Milano. «L’apertura al prossimo,
non solo nel momento del bisogno
ma nella quotidianità, dovrebbe guidare
sempre le nostre vite in questo
tempo così dominato dall’individualismo». Avremmo dovuto fare l’intervista
il giorno prima, ma un mal di gola
le aveva portato via la voce.
Ora va un po’ meglio e così l’attrice
continua: «È un film in cui è facile riconoscersi,
perché racconta momenti
e paure della vita quotidiana che possono
capitare a tutti». Come perdere il
proprio bambino mentre si fa la spesa
al supermercato.
Jasmine ha una figlia,
Elsa, che ha 6 anni. «La paura più grande
che ho per lei non riguarda tanto
eventi concreti: temo di diventare una mamma troppo possessiva e che questo
troppo amore possa frenare la graduale
ricerca di una maggiore autonomia
da me. Da questo punto di vista, il
film non vuole insegnare nulla, se non
forse quanto diceva lo psicanalista
Donald Winnicott a proposito delle
madri che devono essere “sufficientemente
buone”: è inutile inseguire
un ideale di perfezione. L’importante
è far capire a tuo figlio che ci sei sempre.
Tutto il resto si impara giorno per
giorno, con tutti i nostri sbagli e le nostre
insicurezze».
Mentre il treno continua la sua
corsa, notiamo nello scompartimento
Riccardo Scamarcio impegnato in
una telefonata.
«Per me è stato un film
molto impegnativo», continua Jasmine, «specie la parte ambientata nel
ristorante. Il duello tra Delia e Gaetano
fatto di parole e di sguardi è stato
molto difficile da sostenere a livello
emotivo. Per restituire autenticità ai
sentimenti che prova Delia ho dovuto
tirare fuori il dolore che ho dentro,
anche se ha origini diverse da quelle
del mio personaggio. Se non sono in
grado di compiere questa operazione,
me ne vergogno e mi blocco. È successo
sul set nella scena in cui scoppio a
piangere. Avrei dovuto replicarla, ma
non ci riuscivo più, perché non ero
più in grado di ritrovare l’emozione
che ci avevo messo dentro. Ho detto a
Riccardo: “Non ce la faccio, non sono
vera”. Quel disagio mi è servito per ritrovare
l’autenticità».
LE ETÀ DELL’AMORE. Nel tavolo accanto a quello di Delia e Gaetano, come abbiamo detto, c’è una coppia di anziani che sorride complice per tutto il tempo della cena. «Mentre recitavamo mi sembravano due presenze reali, una coppia che stava davvero accanto a noi al ristorante», aggiunge Jasmine. Invece, rivedendo il lm, mi sono sembrate due figure oniriche, come due Virgilio che accompagnano i due protagonisti con la loro saggezza nell’ultimo tratto della loro storia che ci viene mostrato. E poi ho avuto anche l’impressione di scorgere dietro di loro Sergio e Margaret che con affetto li hanno creati e con affetto hanno diretto noi che li abbiamo messi in scena».
Il contrasto tra le due coppie è così stridente che è inevitabile chiedersi se in passato si era più felici. «Non lo so. Forse le persone che si sono fatte una promessa d’amore in un altro tempo, quando le relazioni e le domande che ci si faceva probabilmente erano diverse, hanno una capacità di far resistere un rapporto più forte rispetto alla nostra generazione che, come dice il lm, è cresciuta tra le macerie. Noi avvertiamo molto questo senso di indenito che ci porta magari a volere tutto e subito in una relazione, anziché saperla costruire passo dopo passo». E Vecchioni? «È stato incredibile: pur in un film molto scritto, ha saputo rendere il suo personaggio molto personale, come se fosse uscito da una sua canzone».
In una delle scene più toccanti del film, Delia si ritrova, senza quasi sapere perché, in ginocchio a pregare e costringe a farlo pure il riluttante Gaetano. Jasmine non è credente, ma legge avidamente le vite dei Santi: «Sì, andavo fortissimo in Storia delle religioni all’Università. Il fatto di non avere purtroppo una fede non mi impedisce di essere affascinata da queste figure che per tutta la loro esistenza hanno cercato il contatto con una dimensione non terrena. In un tempo in cui la parola mondanità ha una valenza così negativa, chi riesce a staccarsi dal mondano è solo da ammirare». Mentre il treno si sta avvicinando a Milano, riportiamo Jasmine al Testaccio, il quartiere romano dove è cresciuta, e le chiediamo se sua nonna ha sempre il banco del pesce al mercato. «No, è andata in pensione, ma è rimasta una leggenda vivente nel quartiere. E anch’io continuo a vivere lì con la mia famiglia. È il mio regno, da cui non potrei mai separarmi».