Antefatto: il sito di Repubblica diffonde l’audio di Lotito, presidente della Lazio, comproprietario della Salernitana, consigliere federale in Figc, grande sostenitore della cordata pro Tavecchio, mentre dice al telefono a Iodice, direttore sportivo dell’Ischia (Lega Pro), tra le altre cose che il presidente di Lega Serie A Beretta non conta niente e che non si può pensare di far salire in Serie A squadre come Carpi, Latina, Frosinone, perché in termini di diritti Tv non rendono niente. Questa la sostanza, più articolata la lettera delle parole, condite da uno sgradevole tono da “padrone del pallone” capace di spostare le classifiche come gli pare.
A giudicare dalla reazione sul campo, potremmo dire che ci si dovrebbe augurare una sparata alla Lotito al giorno, per far scattare l’orgoglio delle provinciali e ridare pepe e sale al campionato italiano: con il Cesena che rifila 2-2 alla Juventus, l’Empoli che fa pareggiare 1-1 il Milan in casa e il Parma che costringe la Roma all’angolo dello 0-0 all’Olimpico.
Ma sarebbe un modo ingenuo di liquidare una faccenda non seria – niente di serio può sortire un pallone ridotto e rappresentato così – eppure grave: è evidente che lo scatto d’orgoglio delle provinciali non dura, troppo prevalente la posizione e il peso di chi nel pallone può far valere il colore dei soldi e dei numeri senza neanche condirli di fair-play di facciata. E forse bisognerebbe anche ragionare per capire se il calcio italiano possa permettersi, realisticamente, una Serie A a 20 squadre e una B a 22.
La frasaccia carpita a Lotito ha il merito sgradevole di alzare il velo d’ipocrisia che sempre copre il calcio che non vuole cambiare e si conserva uguale a sé stesso. Poi, certo, domani verranno a proporci l’ennesimo progetto patinato per ripulirsi la faccia e raccontarci che il calcio è scuola di vita: speriamo di no, a meno di non augurarsi di vivere nella giungla.
Ora chi si era rassegnato all’idea che il problema delle piccole fosse reggere alla distanza il confronto con i budget delle grandi (si fa per dire perché di grande nel calcio italiano anche di vertice è rimasta poca cosa, presunzione a parte forse), deve prendere atto che c’è di peggio: chi con il pallone vuole solo fare affari alle piccole è disposto a mettere i bastoni tra le ruote – non fosse già in salita la loro strada - perché le piccole non rendono, si spremono e non fanno neanche le uova d’oro.
Può darsi che a chi vince (anche se al momento negli equilibri del potere targato Tavecchio le prime - Juventus e Roma - stanno all’opposizione) e a chi fa affari stia tutto benissimo così, può darsi anche che quella frase sia solo millantato credito e che Lotito non riesca a influire sulle classifiche quanto la smargiassata fa intendere, ma resta il problema che certe cose può dirle il ragionier Fantozzi al bar sport, ma inquieta che le dica, ancorché in privato, uno che nel calcio comanda davvero, e a nome di tutti noi in quanto consigliere federale. Si può discutere se sia una buona cosa registrare un interlocutore a sua insaputa, ma di certo non è una buona cosa che il calcio sia governato da un concetto così affaristico delle regole.
Detto questo, noi tifiamo Carpi, Frosinone, Latina – ma vale anche per le altre del loro lignaggio - , sapendo già che è una causa persa. Un po' perché sarà dura per loro reggere economicamente l’impatto della Serie A se, come speriamo, ci dovessero arrivare, (non siamo nati ieri sappiamo che lo sarà). E poi perché siamo alle solite: si aspetta un’inchiesta e una squalifica da parte della giustizia sportiva per decidere se Lotito se ne debba andare (sapendo bene che squalifiche e conflitti di interesse -vedi libri suoi comprati a migliaia di copie dalla Federazione- non sono bastati a Tavecchio per riconsiderare l'opportunità di restare presidente federale e neanche per far capire ad Antonio Conte che aver scontato una squalifica per questioni di calcioscommesse è un problemino di immagine per un Ct).
Finché il calcio non capisce (e il Paese con lui) che è a partire da dentro che si risolve una questione morale – da un sussulto di dignità e non dal passare la patata bollente a un giudice sportivo o penale che sia -, non se ne esce. E pare che siamo lontani dal capirlo se la vicenda ha sortito tra i club iscritti alla Lega Serie A più che indignazione imbarazzati silenzi e soprattutto se a difendere il lotito-pensiero - con la scusa dell’intercettazione abusiva - ci sono Chievo e Udinese, piccole che ammesse all’olimpo delle grandi paiono aver dimenticato di essere state piccole.