Roma chiama Berlino. Almeno stando alle sue ultime dichiarazioni, in materia di lavoro Matteo Renzi guarda ad Angela Merkel. Il Jobs act in discussione al Parlamento dovrebbe ispirarsi dunque al modello in vigore da anni in Germania. Ma cosa si intende per modello tedesco? E soprattutto: è un sistema che può essere considerato utile a creare nuovo lavoro?
Le novità degli ultimi dieci anni. La riforma più recente introdotta in Germania consiste nel cosiddetto pacchetto Hartz (quattro leggi) che, fra il 2003 e il 2005, all'epoca del Governo socialdemocratico di Schroeder, ha rivoluzionato i contratti di lavoro, i sistema di assistenza e dei sussidi di disoccupazione (rendendoli universali, della durata massima di 12 mesi), gli uffici di collocamento (sostituiti dai job center o centri per l'impiego), le procedure per l'assunzione (con la semplificazione e l'introduzione di buoni per la formazione e la riqualificazione).
In modo particolare, il Jobs act italiano guarda alla seconda legge Hartz, ovvero all'introduzione (nel 2003) dei contratti minijob: si tratta in sostanza di lavori part-time e precari perlopiù di bassa qualifica (ad esempio nei ristoranti, nel settore turistico, in quello delle vendite...), pagati al massimo 450 euro mensili, senza oneri fiscali per il lavoratore, che può integrare così il sussidio di disoccupazione. Ai minijob si aggiungono i midijob, pagati da 450 fino a 850 euro mensili. Di fatto, queste forme contrattuali hanno permesso di regolarizzare una buona fetta del lavoro sommerso e di assorbire una consistente quota di disoccupati, favorendo la diffusione del lavoro part-time.
In base ai dati del 2013, sette milioni di mezzo di tedeschi, soprattutto giovani con bassa qualificazione professionale, hanno trovato un impiego grazie ai contratti mini-job. A dieci anni dalla riforma, il tasso di disoccupazione fra i tedeschi sotto i 25 anni (7,5%) si è collocata al gradino più basso dell'Unione europea.
Ma c'è anche l'altra faccia della medaglia: i critici di questo modello denunciano il fatto che la precarizzazione del lavoro sia aumentata e che la nuova generazione tedesca debba accontentarsi di sopravvivere con salari molto bassi. Meno disoccupazione, dunque, ma non attraverso il lavoro stabile e ben remunerato, bensì attraverso un lavoro atipico e fortemente precarizzato. Degli oltre sette milioni di tedeschi impiegati con contratti minijob cinque milioni vivono soltanto di questo lavoro part-time; solo due milioni riescono ad affiancarlo ad altre attività remunerative. E la speranza che dal minijob si passi a forme contrattuali tradizionali rimane attualmente molto limitata.
D'altro canto, le analisi economiche effettuate rivelano che i mini-job non hanno sostituito o intaccato i tradizionali contratti a tempo determinato e indeterminato (che negli ultimi anni sono aumentati): i mini-job hanno dato nuove opportunità di impiego regolarizzato soprattutto a quella vasta fetta di lavoratori giovani e con bassi livelli di qualificazione che altrimenti sarebbero stati condannati alla disoccupazione o al lavoro nero, o anche a persone che preferiscono lavoretti part-time, come studenti e donne con bambini.