Un falco ha fatto il nido alla Casa Bianca. È John Bolton, dal 9 aprile Consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Trump. Il suo è un ritorno, perché Bolton fu già molto influente negli anni della presidenza di George W. Bush, anche se allora Bolton fu soprattutto l’uomo di fiducia di un altro super falco, il vicepresidente Cheney.
La fama che lo circonda è pessima. Poche settimane fa il ministro della Difesa James Mattis lo ha accolto al Pentagono con queste parole colte dai microfoni: “Ho sentito che lei è realmente l’incarnazione del diavolo, perciò volevo incontrarla”. La sua nomina è stata accolta da un editoriale del New York Times intitolato: “”Sì, John Bolton è davvero così pericoloso”. E nel testo si leggeva che nessuno più di Bolton può trascinare gli Stati Uniti dentro una nuova guerra”. Lo descrivono come un martello che vede attorno soltanto chiodi.
Grande sostenitore dei cambi di regime, a suo tempo convinto che invadere l’Iraq fosse cosa buona e giusta, poco avvezzo alle sottigliezze della diplomazia, pochi giorni fa Bolton ha fatto infuriare i nordcoreani nel mezzo della delicata trattativa che dovrebbe portare al vertice del 12 giugno a Singapore fra Donald Trump e Kim Jong Un. Bolton ha evocato un “modello libico” per la denuclearizzazione della Corea del Nord, facendo subito tonare alla mente le immagini della tragica fine di Gheddafi, braccato e linciato.
Da Pyongyang Bolton è stato subito bollato come “un essere ripugnante”, un giudizio non molto diverso da quello che i nordcoreani usarono nei suoi confronti già nel 2003, quando Bolton era sottosegretario al controllo degli armamenti e alla sicurezza internazionale. Allora Bolton fu bollato come “scarto dell’umanità”.
Bolton non è tenero neppure nei confronti dell’Iran. Nel 2015, quando non aveva incarichi di governo e faceva l’opinionista, scrisse sul New York Times che il programma nucleare iraniano poteva essere fermato bombardando l’Iran. Sul Wall Street Journal ha aggiunto un’altra minaccia: “L’unica politica degli Stati Uniti dovrebbe essere quella di mettere fine alla rivoluzione islamica del 1979 prima che festeggi il suo 40° anniversario”. Cioè prima del 2019.
Bolton non ama le mezze misure e i giudizi sferzanti devono essere musica per le orecchie di Trump. Bolton, che fu ambasciatore USA all’ONU fra il 2005 e il 2006, ha detto che se il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite avesse dieci piani in meno, non cambierebbe nulla. Ma il giudizio definitivo sull’ONU Bolton lo ha espresso con queste parole: “Le Nazioni Unite non esistono. Esiste solo la comunità internazionale che, occasionalmente, può essere guidata dalla sola vera potenza rimasta nel mondo, gli Stati Uniti”.
Agli occhi di Bolton, tifoso di Brexit, non si salva neppure l’Unione Europea, considerato un luogo di “masticazione diplomatica senza fine”.
Originario di Baltimora, 69 anni, studi a Yale, due folti baffi bianchi che lo rendono inconfondibile, in questo momento Bolton è certamente uno degli uomini più in sintonia con Trump. Stupisce solo che il presidente non abbia pensato fin dall’inizio di portalo nella sua sua squadra. Ma Bolton sa anche che non deve mettersi troppo di traverso rispetto ai progetti del capo. Trump ha già dimostrato che, con un solo tweet, magari scritto tutto in maiuscolo, può mandare a casa chiunque.
(Foto: Reuters)