Persecuzioni, discriminazioni, ma anche grandi luci. Vittime come Asia Bibi, la donna cristiana assurdamente condannata a morte nel 2009 per blasfemia e tuttora detenuta. Testimoni coraggiosi e scomodi, come il ministro cattolico Shahbaz Bhatti, ucciso nel 2011 da un gruppo di terroristi per aver difeso la libertà religiosa. La Chiesa pakistana è tutto questo. In uno stato islamico pericolosamente attraversato da spinte fondamentaliste, professare liberamente la propria fede è tutt'altro che scontato. E per i cristiani, che sono una piccola minoranza (appena il 2% su 180 milioni di abitanti) la vita è dura e pericolosa. Ne parliamo con monsignor Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza Episcopale Pakistana. Nella sua città, una tra le più popolose al mondo con 23,5 milioni di abitanti, i cattolici sono circa 200.000. In questi giorni il presule si trova in Italia, su invito della fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre. Lo incontriamo a Torino, al termine di un confronto patrocinato dal Consiglio Regionale del Piemonte e dal Comitato Regionale per i Diritti Umani.
Monsignor Coutts, sono passati esattamente cinque anni dall'assassinio del ministro cattolico Shahbaz Bhatti. Qual è l'eredità più importante che questo grande uomo ha lasciato al suo Paese?
«Bhatti era una persona buona e una splendida figura di leader cristiano. Non ha mai messo la sua persona in primo piano, né ha mai tratto alcun vantaggio dalla posizione politica che ricopriva, ma, al contrario, ha speso la vita nel servizio ai più poveri e a chi non aveva voce. Era incorruttibile. Il modo migliore per ricordarlo è trasmettere il suo esempio e proseguire il suo lavoro.
La Santa Sede sta prendendo in considerazione l'ipotesi di aprire per Shahbaz Bhatti una causa di beatificazione».
Quindi il ministro potrebbe essere proclamato martire. Che cosa significherebbe questo per la Chiesa pakistana?
«Un grande padre della Chiesa, Tertulliano, definiva i martiri “seme di Cristiani”. Questo è vero ancora oggi. Per una chiesa travagliata da mille difficoltà, potersi riconoscere in un “suo” martire sarebbe certamente un segno prezioso e una benedizione».
Quali sono, attualmente, i principali pericoli per i cristiani in Pakistan?
«Dal 1986 è in vigore la cosiddetta “legge nera”, che punisce con pene durissime, qualche volta con la morte, il minimo atto ritenuto blasfemo, compresi quelli involontari (può bastare, ad esempio, far cadere accidentalmente una copia del Corano per essere condannati all'ergastolo). Questa legge viene spesso usata come mezzo per vendette e ritorsioni personali. Quando la vittima è un cristiano, difenderlo diventa molto più difficile. E in un clima di fanatismo, può bastare un nonnulla per scatenare la caccia al blasfemo. E' accaduto nel 2009 a Gorja, nella regione del Punjab. Durante un matrimonio, alcuni bambini avevano usato dei fogli di giornale per fare coriandoli. Ma su quei fogli erano scritti anche dei versetti del Corano. La conseguenza è stata il massacro in un intero quartiere cristiano, con 8 vittime. In vari altri casi ci sono stati attentati e assalti contro le chiese: uno di essi, a Peshawar, nel 2014, ha causato 100 vittime. C'è poi l'incubo dei rapimenti di ragazze cristiane, convertite all'islam con la forza (dietro la minaccia di ritorsioni verso le loro famiglie) e costrette a sposare i rapitori. Non esistono dati ufficiali, ma si stima che ogni anno almeno 1.000 ragazze subiscano questa sorte, soprattutto nei piccoli villaggi.
In una situazione così drammatica esiste qualche segnale di speranza?
Non è tutto buio e sofferenza. Con i musulmani moderati abbiamo un dialogo costruttivo e costante. Un prezioso lavoro viene svolto dalla Commissione per i Diritti Umani, della quale faccio parte. Qualche apertura arriva anche dalla magistratura. Ad esempio, recentemente, la Corte Suprema ha stabilito che criticare la legge sulla blasfemia non comporta di per sé blasfemia: è una conquista importante perché solo così si potrà riaprire un dibattito pubblico. Inoltre sono stati proibiti i discorsi di incitamento all'odio religioso Da notare che tra le vittime della legge nera ci sono anche tanti musulmani di buona volontà, come quel governatore del Punjab assassinato per aver invocato chiarezza sulla vicenda di Asia Bibi. Era un uomo giusto e aveva una mentalità aperta.
E' di queste ore la notizia che papa Francesco potrebbe visitare il Pakistan in settembre...
L'invito è partito dal primo ministro Nawaz Sharif. Si tratta, dunque, di una questione tra governi, nella quale non ho molta voce in capitolo. Naturalmente, però, se il Santo Padre verrà a visitarci, lo accoglieremo con immensa gioia e gratitudine.
Il ministro Bhatti diceva che “i poveri non hanno religione”, nel senso che non si possono fare distinzioni nell'accoglienza. Lei è anche presidente della Caritas pakistana».
Quali sono, nel suo Paese, gli interventi principali della Chiesa a sostegno delle fasce più deboli?
«Cerchiamo di aiutare tutti senza alcuna distinzione: anzi, in molti casi i nostri assistiti sono in maggioranza musulmani. Spesso infatti dobbiamo intervenire a seguito di grandi disastri naturali. Negli ultimi dieci anni in Pakistan ci sono stati 3 terremoti e le inondazioni sono frequenti. Con la concretezza testimoniamo che l'amore è per tutti. Altri progetti che ci vedono impegnati riguardano l'educazione, sia dei giovani che degli adulti: si tratta di un'assoluta priorità, visto il tasso di analfabetismo che sfiora il 50%. Inoltre promuoviamo progetti a sostegno delle donne, delle famiglie più disagiate e dei piccoli agricoltori».