Come il suo amico Fiorello, anche Jovanotti ha scelto Rai Play per il suo debutto in Tv con un programma tutto suo. Un programma molto particolare, che prende il titolo da un verso di una poesia di Neruda, “Non voglio cambiare pianeta”. È il resoconto di quasi due mesi di viaggio in solitaria in bicicletta in Sudamerica: quattromila chilometri documentati con una piccola telecamera e che ora sono diventate un progetto televisivo per RaiPlay, disponibile dal 24 aprile, in sedici puntate di circa 15 minuti l’una.
È stato lo stesso Jovanotti a raccontarlo in un’inedita conferenza stampa online che ha riunito un’ottantina di giornalisti collegati con lui dalle loro case in tutta Italia. «La passione per i viaggi mi accompagna fin da bambino, da quando i miei genitori mi regalarono un mappamondo. E dagli anni ’90 faccio viaggi “estremi” per scoprire luoghi che altrimenti non avrei mai visto». Così tra gennaio e febbraio è partito, da solo con la sua bicicletta e una piccola telecamera: «All’inizio la accendevo solo per distrarmi, poi pian piano ho capito che stavo costruendo un racconto. Ogni giorno pedalavo per 10 ore, percorrendo circa 200 chilometri. Facevo pochissimi incontri, ma bellissimi». Come quello con Jorge, un uomo incontrato in una sperduta cittadina del Cile: «Mi sono trovato di fronte il mio babbo. Era una trentina di centimetri più basso, ma aveva i suoi stessi affetti. Mi ha portato in giro per la città e mi ha raccontato di avere una passione incredibile per la musica italiana: così ci siamo ritrovati a cantare insieme le canzoni di Laura Pausini e “Lisa dagli occhi blu”: è stato molto commovente».
Il viaggio ha avuto per Jovanotti anche una valenza spirituale. Ricordando i suoi legami con il Vaticano (il padre Mario faceva parte della gendarmeria), Lorenzo ha detto che ogni suo viaggio è un «modo per allontanarsi da Roma per poi ritornare a Roma. Ricordo l’incontro che feci tanti anni fa in una chiesa sperduta in Pakistan. C’era un prete, tutto accaldato. Gli chiesi se era una chiesa cattolica e lui mi rispose: “Questa è una chiesa di Cristo. E mi ha abbracciato”. Viaggiando, ho capito che la natura è la cosa più sovrannaturale che c’è. L’importante è come, in tutte le cose, è non trasformarla in un’ideologia.
Da Santiago del Cile a Buenos Aires, attraverso deserti, coste oceaniche, parchi nazionali, le Ande, le pampas,i villaggi sperduti e la grande città: un’avventura in cui non poteva mancare la musica. Mentre viaggiava, Jovanotti ha preso appunti che si sono poi tradotti al ritorno nella colonna sonora che accompagnerà le puntate, insieme alla poesia. Ogni puntata, infatti, si chiuderà con un omaggio ai poeti, da Primo Levi a Jorge Luis Borges.
«Il mio amico Gabriele Muccino», ha aggiunto Jovanotti, «mi ha scritto che vivo come un ventenne. Ci ho pensato, ma non è così: la nostra formazione non si ferma alla gioventù, ma va sempre avanti e a 53 anni ciò che fai ha un significato diverso».
Inevitabile a questo punto un commento sulla situazione che stiamo vivendo: «Questo documentario può essere una specie di tutorial per la fase 2: si vede uno che mantiene la distanza di sicurezza, ma viaggia. Per questo ai giovani dico: leggete e viaggiate. Guardate film, ascoltate musica, viaggiate in tutti i sensi. Non accettate la verità per come vi viene data».
Al tempo stesso, Jovanotti non vede l’ora che si torni alla normalità: «Io sono così a mio agio negli assembramenti che questo rinunciarvi mi fa vivere su una sorta di montagna russa di emozioni. Il futuro della musica dal vivo non può essere limitata a uno schermo retroilluminato. Ora si fa per necessità, ma un giorno torneremo a far scorrere l’energia della musica dal vivo»