Ci vuole coraggio, perché si
rischia di apparire presuntuosi,
a dichiarare che la prima
ragione che ti ha spinto
a girare un film è di natura
etica. «Potevo fare un film di
“genere” o di denuncia sulle tante cose
che non funzionano. Ma vivendo immersi
in questa cultura del profitto
e dell’estetica sentivo che era necessario
prendere una posizione netta
su questo punto e per farlo era necessario
puntare non sul “noi”, ma sull’“io”, sull’introspezione, sul guardarsi
dentro senza farsi sconti. E proprio
per quest’obiettivo etico, sento molto
il bisogno di sapere se il film riuscirà a
trasmettere qualcosa agli spettatori».
Tommaso, che Kim Rossi Stuart
presenterà fuori concorso alla Mostra
di Venezia prima dell’approdo
nelle sale l’8 settembre, potrà piacere
o meno, ma di sicuro non è l’opera di
un autore velleitario. Per realizzarla,
infatti, Kim, che l’ha pure sceneggiata
con Federico Starnone, ci ha lavorato
dieci anni. Tanti ne sono passati dalla
sua opera prima, Anche libero va bene,
che sorprese tutti per la sua maturità,
facendo incetta di premi. Da allora
Kim ha centellinato anche la sua carriera
d’attore, sempre privilegiando
opere di qualità, da Questioni di cuore
di Francesca Archibugi a Meraviglioso
Boccaccio dei fratelli Taviani.
Tommaso è il seguito di Anche libero
va bene, anche se Kim ci tiene a sottolineare
«la sua autonomia, anche se chi
ha visto il mio primo film potrà avere
delle chiavi di lettura più complete».
Comunque, se nel suo esordio come
regista, Kim ha raccontato la storia
di un bambino costretto a fare i conti
con l’abbandono della madre e con un
padre oppressivo, in Tommaso ritroviamo
quel bambino che, a causa di quei
retaggi della sua infanzia, non è mai
cresciuto.
È un attore insoddisfatto del suo
lavoro che sogna di girare un film, ma
soprattutto è un uomo incapace di costruire
una relazione affettiva stabile.
«Tommaso è ossessionato dalle donne,
tanto che le immagina nude ovunque
come delle prede da conquistare e pensa
di potersi realizzare attraverso una
vita libertina. Io racconto tutto questo
in una chiave tragicomica, prendendo
in giro lo stereotipo dell’uomo “cacciatore”.
In realtà, Tommaso più va avanti
e più sta peggio, finché comprende che
la chiave di questa faticosa ricerca
è nel fardello che i suoi genitori e
in particolare sua madre, gli hanno
lasciato».
L’attore e regista dice di vedere in
giro molti uomini e donne simili al
suo Tommaso, «che combattono come
lui alla ricerca di un equilibrio affettivo,
ma ce ne sono anche tanti
che vi hanno rinunciato, consegnandosi
a una vita di compromessi
mal vissuti o saltando da un rapporto
all’altro sempre all’insegna della super ficialità».
Il fatto che il suo personaggio sia
un attore come lui ha evidenti risvolti
autobiograci. Anche Kim ha subito
da bambino la separazione dei genitori:
«La mia infanzia è stata faticosa
e non a caso nel mio primo film ho
raccontato la storia di un bambino
costretto ad assumere precocemente
il peso dell’esistenza sulle sue spalle.
E con Tommaso ho condiviso la sensazione
di essere sempre allo stesso
punto nelle relazioni affettive. Detto
ciò, io non sono Tommaso: questo non
è un film sulla mia storia, perché non
interesserebbe a nessuno».
L’ARRIVO DI ETTORE
Anche perché lui,
a differenza del suo personaggio, una
stabilità in questi dieci anni l’ha raggiunta
con l’attrice Ilaria Spada da
cui avuto Ettore, che ora ha quasi
cinque anni e che si chiama così non
in omaggio all’eroe omerico, «ma al
bambino di Anna Magnani in Mamma
Roma e a Ettore Scola, un regista verso
cui ho sempre nutrito una grande ammirazione».
Kim aggiunge che i cambiamenti
avvenuti nella sua vita privata non lo
hanno influenzato nella realizzazione
di Tommaso, «però uno dei motivi che
alla fine mi hanno convinto a girarlo
è stato il pensiero che un giorno lo
vedesse mio figlio. Vedo questo film
anche come una mappa per orientarsi:
una vita passata a mentire a sé stessi e
agli altri non è una vita ben spesa».
Come si è capito, l’attore e regista
romano avverte molto la responsabilità
di essere un padre: «Da prima che
nascesse Ettore, mi ripetevo che come
genitore avrei dovuto impegnarmi soprattutto
per lasciargli lo spazio per
trovare una sua identità».
«Spesso i genitori caricano i figli
di una missione esistenziale il cui
peso li condizionerà per sempre»,
continua Kim. «Proprio perché sento
così forte in me il tema di quanto i
genitori possano condizionare il futuro
dei figli, cercherò il più possibile di
evitare di tentare di plasmarlo secondo
le mie aspettative. So già che sarà
impossibile riuscirci, ma ci provo».