Pietro Giovanni Leuzzi, ex colonnello, ha seguito di persona la campagna di scavi.
“Maria SS ti protegga – 15 9 1935”. La scritta è incisa sul retro di una medaglietta d’oro con l’effigie della Madonna, probabilmente un dono della Cresima, rinvenuta assieme a stellette, fibbie, bottoni di giubbe di artigliere, una stilografica, una protesi dentale, un paio di occhiali d’oro e i bossoli di munizioni tedesche in quella che Pietro Giovanni Leuzzi ritiene con certezza sia una delle tre fosse comuni dove si trovano le salme di 37 ufficiali italiani del 10 reggimento Regina fucilati a Kos, isola del Dodecanneso, il 6 ottobre 1943.
Leuzzi, colonnello a riposo, è appena rientrato dalla breve campagna di scavi che ha intrapreso di persona, dal 1 all’8 luglio, grazie a una raccolta fondi fatta tra privati che gli ha permesso di finanziare il progetto che lo ha visto seguire con passione, per 10 lunghi anni, una vicenda iniziata con una lettera inviata da una signora italiana al Corriere della Sera.
La donna, che spendeva le sue vacanze all’isola di Kos, denunciava come in Italia fosse caduta in dimenticatoio o non si sapesse nulla di quella che è stata denominata “la piccola Cefalonia”, di cui un fascicolo esiste nel famoso “armadio della vergogna”.
Alcuni frammenti di ossa umane rinvenute nelle undici fosse comuni.
Il colonnello, classe 1935, che all’epoca aveva appena terminato di scrivere un libro proprio sull’eccidio di Cefalonia, si appassiona completamente al caso. L’eccidio a Kos avviene il 6 ottobre 1943, dopo due giorni di intensi combattimenti dove le truppe italiane e inglesi soccombono a quelle dei tedeschi. Centotrè ufficiali italiani vengono giustiziati, mentre vengono portati verso la spiaggia, dopo un processo sommario per aver rifiutato di continuare a combattere a fianco dei tedeschi. I loro corpi vengono sepolti in undici fosse comuni. Dopo la guerra ne vengono ritrovate però solo otto con 66 salme che con il tempo verranno traslate al Sacrario dei Caduti d’oltremare di Bari. All’appello mancano 37 ufficiali.
La campana della Memoria.
In dieci anni Leuzzi fa ricerche, frequenta archivi militari, riesce a risalire ai famigliari e ai discendenti dei Caduti, li conosce, li frequenta come fossero i propri di famigliari. Quando parla, si commuove sempre. “Ma sa che 84 di questi ragazzi non raggiungevano i 26 anni? E qualcuno neanche i 21? La vedova di uno di loro, “la signora Maria”, aveva 20 anni quando il marito fu ucciso, e avevano una bambina di dodici mesi che, crescendo, non ha mai accettato la morte del padre”. Una tragedia nella tragedia, perché nessuno in Italia sembra interessarsi a quell’eccidio o a prestargli attenzione. Il colonnello riesce però a far sì che Provincia di Latina doni una campana di bronzo da portare all’isola di Kos, oltre a quella che avevano fatta per ricordare l’eccidio di Cefalonia.
La campana della Memoria viene affidata nel 2009 al 9° reggimento fanteria di Trani, oggi erede delle tradizioni dell’allora divisione “Regina”, che aveva due reggimenti, il 9° schierato con il comando a Rodi e il 10° invece a Kos. Al reggimento di Trani resta per un po’, fino a che vengono trovati dei fondi per portarla nell’isola dell’eccidio. Nel 2010 Liuzzi fa partire una raccolta di firme che raggiunge le quattromila unità, dove chiede al Presidente della Repubblica che si commemorino con onori i 107 ufficiali dimenticati, che si ricerchino le altre 37 salme a Lambi, nel nord est dell’isola greca, e si includa Kos negli itinerari della memoria insieme a El Alamein, Cefalonia, Sant’Anna di Stazzena e le Foibe.
Alcuni oggetti rinvenuti durante gli scavi.
Un esito c’è stato, visto che, il 25 aprile dell’anno scorso, il presidente Giorgio Napolitano ha fatto sì che la cerimonia al Quirinale fosse incentrata sull’eccidio di questi 103 ufficiali. Ma per far partire la campagna di scavi, appoggiata dal ministro degli esteri Gentiloni, con l’intervento dell’ambasciatore italiano ad Atene e il permesso delle autorità elleniche, Leuzzi ha dovuto rivolgersi ad amici e simpatizzanti con un crowdfunding che ha raggiunto la somma di 5.200 euro. “Un aiuto prezioso. Chi ha dato 1.000, chi ha dato 50 euro: ringrazio tutti indistintamente, senza di loro non avrei potuto fare nulla. Questo ci ha permesso di andare la prima settimana di luglio nell’isola, sul “Campo delle Fosse”, un terreno di circa 1800 metri quadri, a 400 metri dal mare e 150 da una stradina, vicino alle saline di Linopoti. Ho iniziato a scavare nel punto che avevo individuato in una cartina”.
Con lui ci sono cinque volontari italiani, tra cui un medico chirurgo che porterà in Italia le poche ossa ritrovate, due pezzi di femore e delle costole, per identificarne il Dna. Non c’è di più perché, con tutta probabilità, i resti dei militari e le loro divise sono stati disciolti dall’alta salinità dell’acqua che si trova a un metro di profondità. “Hanno lavorato anche una ventina di giovani del luogo, ripulito dalle sterpaglie e dai canneti, aiutato a rimuovere la terra nelle campionature che abbiamo fatto – continua il colonnello a riposo -. Se avessimo avuto maggior supporto dalle autorità italiane, avremmo potuto fare di più. Poco male. Il sindaco di Kos ci ha assicurato che farà continuare lui le ricerche”.
Ora il colonnello sta pulendo i reperti dalle incrostazioni, sta cercando di decifrarne le eventuali scritte o sigle incise, lucida la penna stilografica d’oro e si commuove parlando degli occhiali rotti. “Non posso fare di più – dice con la voce rotta -. Ho bussato a tutte le porte, fatto petizioni, ho scritto un libro (“Settembre 1943-maggio 1945. Kos. Una tragedia dimenticata”, ndr), ho aperto la campagna degli scavi: tutto per far conoscere agli italiani questa tragedia. Se non riusciamo a trovare a chi appartenevano gli effetti che abbiamo riportato alla luce e consegnarli agli eredi, questi verranno portati a Kos. Il sindaco mi ha detto che verranno valorizzati nel loro museo. Meglio così. Io, con le autorità italiane, ho chiuso”.