Ha scelto Prizren, una delle città più martoriate durante la lunga e sanguinosa guerra in Kosovo, l'associazione “Amici di Decani” per un convegno dal titolo significativo, "La semina della tolleranza" patrocinato dall'Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Cnr.
In questa terra la maggioranza albanese musulmana ha indotto o costretto gran parte della minoranza serba ortodossa a espatriare: più di 200 mila le persone che hanno scelto di andarsene, mentre quelle rimaste vivono in condizioni di disagio e povertà e in parte proprio grazie all'aiuto delle comunità monastiche come quella di Visoki Decani.
"Quando abbiamo lavorato al recupero della moschea di Peç/Pejo pochissimi cittadini la frequentavano, mentre oggi l'identità religiosa è più forte e sono già state espresse alcune istanze, come quella di poter indossare il velo a scuola nonostante il Kosovo sia uno stato del tutto laico" spiega il restauratore Carlo Giantomassi, molto attivo nella zona con la moglie Donatella sia su monumenti bizantini che islamici.
In questa zona le tracce della tragedia balcanica sono ancora visibili e il monastero di Decani e il vicino patriarcato di Peç vivono sotto il controllo dei militari della K-for (Kosovo force) in cui l'impegno dei soldati italiani è particolarmente forte: il patriarcato dovrebbe però passare a breve sotto la protezione esclusiva della polizia kosovara, mentre Decani resterebbe affidata ai nostri militari qualora la missione venisse finanziata. I religiosi e i fedeli ortodossi temono però di rimanere esposti a minacce di vario genere.
Il Kosovo, infatti, sta subendo un vero processo di albanizzazione, con i serbi che si sono dovuti allontanare e i luoghi religiosi cristiani che vivono a loro volta in una situazione di discriminazione e sono stati talvolta oggetto di attacchi espliciti, come è accaduto nei mesi scorsi quando un gruppo di persone ha protestato contro la donazione di alcune proprietà a Decani.
Il filosofo veneziano Massimo Cacciari ha più volte paragonato questi luoghi a rischio ai Buddha afgani, lamentando il silenzio degli intellettuali occidentali. "Questa area è la Toscana dei Balcani e gli intellettuali italiani e occidentali devono smettere di valutarla con il sussiego e il senso egemonico che li caratterizza, solo perché qui non hanno operato i grandi nomi dell'arte medievale come Giotto o Simone Martini" spiega lo storico dell'arte Valentino Pace, dell'Università di Udine.
La stessa struttura architettonica della chiesa del monastero simboleggia la sintesi tra oriente e occidente che si compie qui, con i suoi esterni romanici e gli affreschi bizantini. Non per nulla, Decani ha ottenuto il riconoscimento quale patrimonio dell'umanità da parte dell'Unesco.
“Si tratta di un valore che l'Europa non può trascurare o ignorare, nel momento in cui sta cercando di rinsaldare la propria unità culturale e politica" chiosa l'archimandrita e abate di Visoki Decani.
Un messaggio chiaro, a 1700 anni dall'editto costantiniano: il dialogo tra arte orientale e occidentale non può interrompersi.