Maria, 14 anni, muore alle tre del pomeriggio. Come Cristo in croce. Anche Maria ha percorso una “via crucis” in quattordici stazioni prima di giungere in cima al suo Calvario. Inchiodata al letto d’ospedale, lei si sente abbandonata, come Gesù dal Padre. Alla sua morte Cristo fa aprire i sepolcri. Maria, quando chiude gli occhi, fa aprire la bocca al fratellino muto.
Questo è il telaio attorno cui il regista Dietrich Brüggemann intesse la storia del film Kreuzweg, le stazioni della fede, nelle sale dal 29 ottobre. L’idea centrale è quella di ridurre la complessa materia di un film in un numero preciso di segmenti, che vengono intitolati come le tradizionali stazioni della Via Crucis nella devozione della Chiesa cattolica.
La struttura del film, rigorosa e razionale, fa pensare a una sovrapposizione-somiglianza della protagonista Maria con la figura “paziente” di Gesù. Il linguaggio rimanda alle severe espressioni cinematografiche di Dreyer, Bresson e Bergman. Recitazione minimale. Macchina da presa fissa. Musica assente. Dialoghi essenziali. Silenzi prolungati. Colore “sporco” in sostituzione del bianco e nero. Cieli lividi e impenetrabili. Mancanza di luce.
Una storia lucida come la lama di un coltello, che taglia e seziona la vita di Maria in quattordici quadri, all’interno dei quali si incornicia una sacra rappresentazione medioevale della “passione e morte” di una vittima innocente, uccisa da un fede disumana. Una “Passione di Giovanna d’Arco” capovolta, dove Giovanna non è condannata da un tribunale, ma dalla propria intransigenza
Maria è fortemente spinta a professare una fede cattolica tetramente calvinista. Il prete della chiesa (padre Weber) e sua madre sono i principali ministri di questa pozione venefica, che non perde la sua virulenza nemmeno a contatto con il compagno di scuolaChristian,con la tata francese Bernadette e con la professoressa di ginnastica. Personaggi che hanno un modo “normale” e semplice di rapportarsi alla religione.
Non c’è nessuno che possa accompagnare Maria fuori dalla sua notte. Il Cireneo della quinta stazione della via crucis aiuta Gesù a portare la croce. Nella sua “quinta stazione” Maria incontra nel confessionale Padre Weber, che invece pare le dia una mano a sprofondare ancora di più nel buio della sua solitudine.
La fissità della narrazione rimanda alla fissità della morte. Pochi i movimenti dei personaggi all’interno dei quattordici quadri. Esternamente la macchina da presa si muove la prima volta dopo un’ora e tredici minuti. Eppure l’intensità drammatica aumenta ad ogni pagina che si gira e ad ogni quadro che si esaurisce. Cresce un po’ alla volta la “pietas” del regista e dello spettatore verso questa quattordicenne indifesa, che, in preparazione alla Cresima, decide di “immolare” la sua vita per raggiungere Nostro Signore in paradiso.
Quello che è davvero inquietante in questo film è che la causa della morte è la fede cattolica. Una fede ossessionata dal peccato e dal demonio, implacabile verso i sentimenti, insensibile alle fragilità, senza nessuna misericordia, votata al sacrificio e all’autopunizione. Questa Chiesa è una specie di sètta giansenista, anoressica all’amore e alla vita, che odia la musica moderna come fosse il diavolo.
Dietrich Brüggemann traccia il ritratto di una Chiesa cattolica che non esiste più, se non nella sua mente. Tira fuori della soffitta una Chiesa incartapecorita e arteriosclerotica, che non ha riscontro nella realtà di oggi. Una Chiesa che vive la sindrome dell’accerchiamento e che continua ad adoperare la lingua latina come una barriera contro le ondate furibonde del male.
Il regista di Monaco non è riuscito, verosimilmente, a liberarsi da un incubo che risale alla sua infanzia - come racconta in una dichiarazione riportata su una pagina del sito IMDb - quando andava a scuola dalla suore, dalle quali riceveva una educazione religiosa rigida e dolorosa. E’ rimasto vittima del suo autobiografismo. Dietrich e Maria sono la stessa cosa.
Se l’intento del regista era quello di denunciare che ogni fondamentalismo – anche quello religioso – è una via crucis che porta l’uomo alla morte più assurda e insensata, lo ha fatto in una maniera talmente radicale ed esclusiva da sortire un effetto completamente diverso e forse lontano dalle sue intenzioni.
Se non ammetti nessun confronto e dibattito attorno alla tua idea, è facile che il pubblico identifichi tout-court la professione distorta della religione cattolica con la religione in quanto tale, con la fede qualunque essa sia.
I commenti più ricorrenti degli spettatori nei siti cinematografici internazionali al film di Brüggemann sono di questo tenore: la religione è malsana.
Forse i premi attribuiti a Kreuzweg dalle Giurie ecumeniche in diversi Festival sono un po’ affrettati e leggermente fuori luogo.