«So che tanti sono gli affittuari che non pagano il canone di affitto ogni anno e magari anche per più anni e pertanto, seguendo le leggi in vigore, sono soggetti al provvedimento di decadenza. Ebbene, chiedo ai responsabili di sospendere la procedura almeno fin dopo l’inverno per trovare soluzioni adeguate a chi non ha potuto pagare per motivo della perdita del lavoro».
Non gira attorno al problema monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, ben consapevole di un'emergenza casa che la crisi sta rendendo sempre più imponente e diffusa.
«Non si può fare pagare un prezzo altissimo a chi è moroso per un motivo così grave e incolpevole come è la mancanza di lavoro», dice, rivolgendosi alle istituzioni. «Moralmente dobbiamo avviare una riflessione etica su questo punto, perché prevalgano scelte condivise che uniscano giustizia e misericordia, come ci ricorda sempre Papa Francesco».
Una richiesta, la sua, che però è anche una risposta. Infatti, monsignor Nosiglia sta inaugurando e benedicendo una nuova struttura, nata proprio per far fronte all'emergenza abitativa.
È difficile affrontare le nuove povertà usando vecchi mezzi: servono idee capaci di tenere il passo con una società che cambia. A Torino, proprio su impulso dell'Arcivescovo, la Caritas diocesana sta sperimentando proposte innovative per dare una casa a persone in difficoltà. È così che sono nati coraggiosi progetti di co-housing (abitazione condivisa), sguardi originali che trasformano il concetto stesso di accoglienza.
Ma se i metodi e gli stili si evolvono, c'è qualcosa che resta costante nel tempo: è lo spirito di servizio di una città che non ha perso la memoria dei Santi Sociali e che, pur tra difficoltà e incongruenze, sa farsi vicina ai più fragili. Non è certo un caso se la struttura per famiglie bisognose e studenti universitari, che ha aperto i battenti da pochi giorni, porta il nome di don Luigi Orione, allievo di san Giovanni Bosco e figura fortemente legata al capoluogo piemontese.
“Dorho”, cioè don Orione Housing: ecco il nome della casa, uno stabile di sette piani, in pieno centro, che sperimenta una nuova vita. D'ora in poi ospiterà soprattutto due categorie di inquilini: famiglie sfrattate per morosità incolpevole (cioè già in graduatoria per l'assegnazione di case popolari, ma costrette a lunghi tempi di attesa) e giovani universitari.
Nel primo caso l'emergenza è più evidente: le famiglie rimaste senza casa e schiacciate in una sorta di limbo hanno urgente bisogno di un posto sicuro che consenta loro di rimanere unite. Ma la Caritas vuole rivolgere un occhio di riguardo anche ai tanti studenti fuori sede che vedono il loro percorso universitario minacciato dall'impossibilità di trovare una sistemazione a costi sostenibili.
La struttura potrà ospitare quasi 100 persone
La Dorho dunque non sarà una dimora definitiva, ma una residenza transitoria, fondata sull'idea di accoglienza e accompagnamento. «Durante il periodo di permanenza che potrà protrarsi fino a un anno», spiega Pierluigi Dovis, direttore Caritas Diocesana, «gli ospiti saranno aiutati a trovare forme di residenza più stabile».
Con le sue quaranta stanze dotate di bagno e i suoi ampi spazi comuni (dalla cucina alla lavanderia, dalla cappella alla sala studio), la struttura, la cui gestione pratica è affidata alla cooperativa Synergica, potrà ospitare quasi 100 persone. Le segnalazioni delle situazioni critiche arriveranno dalla Caritas stessa, dall'Ufficio diocesano Migranti o da quello della Pastorale Universitaria, da centri d'ascolto e parrocchie, ma anche dal Comune di Torino (partner del progetto).
Gli affitti varieranno da 135 a 200 Euro mensili per le famiglie, mentre saranno di 290 Euro per gli studenti. Ma chi non potrà pagare per intero sarà ulteriormente aiutato: infatti sono previsti percorsi alternativi, che consentiranno, ad esempio, di sostituire parte della quota con ore di volontariato all'interno della struttura.
La Dorho è di proprietà della Piccola Opera della Divina Provvidenza (la congregazione di don Orione), che dopo l'invito dell'Arcivescovo ha deciso di mettere l'edificio a disposizione della Caritas. «Non facciamo altro che rinnovare la tradizione di solidarietà legata a questa casa», racconta don Ugo Bozzi (parrocchia Santa Famiglia di Nazareth). «Infatti già a fine Ottocento don Orione vi fondò una scuola di arti e mestieri per ragazzi bisognosi, idea che per i tempi era all'avanguardia. Poi, dal secondo dopoguerra fino agli anni '70, la struttura divenne una casa di accoglienza per operai. Negli anni '80 fu trasformata in residenza studentesca. Ora ci sembra che questa nuova destinazione sia la più appropriata alle attuali esigenze della città».
L'emergenza abitativa con la crisi non riguarda più soltanto i senza fissa dimora
Esigenze che si fanno ogni giorno più pressanti. «Per molto tempo», fa notare Giovanni Magnano (Comune di Torino), «si è pensato che l'emergenza abitativa riguardasse solo i cosiddetti senza fissa dimora. Ma oggi il quadro è radicalmente cambiato: sono vulnerabili i giovani in genere, i lavoratori costretti a cambiare continuamente luogo di residenza, le famiglie spaccate che hanno perso le tradizionali reti di sostegno. L'emergenza abitativa riguarda tanta gente normale, che fino a un anno fa riusciva ad andare avanti con le proprie forze».
In un contesto così allarmante, forse la Dorho non è che una goccia nel mare. Ma si tratta senz'altro di una goccia preziosa, anche perché mette al centro la persona. Non è solo uno spazio in cui dormire e mangiare: vuole essere una casa in cui condividere esperienze, aspettative, piccole e grandi forme di aiuto reciproco. «Nel logo della struttura», conclude Pierluigi Dovis, «tra la D e la O c'è una piccola apostrofo, per esprimere la speranza che il progetto Dorho possa trasformarsi in un progetto "d'oro". Gli ottimi risultati ottenuti in questi mesi da un più ampio percorso di cohousing denominato Sis.te.r (Sistemazione Temporanea Residenziale) ci spingono ad andare avanti: da gennaio sono già attivi 8 alloggi in città, segno che la collaborazione con Comune e associazioni di volontariato è possibile e dà i suoi frutti. Non solo: recentemente, sull'esempio degli Orionini, altri ordini religiosi ci hanno dato la loro disponibilità».